Attualità 22 Giugno 2025

Attacco all’Iran: difesa preventiva o déjà vu iracheno? Chi controlla chi controlla?

Attacco all’Iran: difesa preventiva o déjà vu iracheno? Chi controlla chi contolla?22 giugno 2025 Attacco all’Iran: difesa preventiva o déjà vu iracheno? Chi controlla chi contolla?

Dopo le bombe, restano solo le domande

L’alba del 22 giugno 2025 si è aperta con l’eco di un’operazione militare senza precedenti: gli Stati Uniti hanno bombardato i principali siti nucleari iraniani – Fordow, Natanz e Isfahan – annientando, secondo il Pentagono, strutture “strategiche” e “pericolose” per la sicurezza mondiale. L’attacco è stato fulmineo, tecnologicamente imponente e, per ora, senza vittime civili. Ma il giorno dopo, tra le macerie e la tensione che dilaga in tutto il Medio Oriente, una domanda si fa largo tra analisti, giornalisti e semplici cittadini: perché?

L’Iran stava davvero costruendo la bomba atomica?

Secondo quanto dichiarato appena 48 ore prima del bombardamento dal direttore dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA), Rafael Grossi“non ci sono prove che l’Iran stia costruendo un’arma nucleare”. Anzi, ha precisato: “Non abbiamo mai detto che Teheran sia in corsa per la bomba. E se ci fossero attività clandestine, non possiamo saperlo: ma nulla indica uno sforzo sistematico in quella direzione.”

Quindi, ci chiediamo: se l’ente internazionale preposto ai controlli nucleari non ha rilevato prove concrete, su quale base è stato ordinato un attacco militare di questa portata?

Ieri  gli USA dicevano “l’Iran ha due settimane”. Poi, l’attacco.

A che serve allora l’AIEA, se le sue valutazioni vengono ignorate?

Non è la prima volta che il mondo assiste a una dinamica simile. Nel 2003, l’amministrazione americana di George W. Bush invase l’Iraq sostenendo che Saddam Hussein possedesse armi di distruzione di massa. Dopo una guerra sanguinosa, migliaia di morti e un intero Paese destabilizzato, di quelle armi non fu mai trovata alcuna traccia. Fu un errore dell’intelligence o una menzogna consapevole?

E oggi? L’Iran rischia di diventare un nuovo Iraq?

Dopo la guerra in Iraq, Washington parlò di “esportazione della democrazia”, ma a quale prezzo? Oggi, a distanza di due decenni, vediamo i fantasmi di quella guerra riaffacciarsi. Ci chiediamo: se tra qualche anno scoprissimo che l’Iran non stava affatto costruendo armi nucleari, cosa resterà di questa scelta? Possiamo ancora chiamarla “difesa preventiva”? O dovremo parlare di aggressione ingiustificata?

E ancora: se non si trattava di fermare una minaccia atomica imminente, allora qual era il vero obiettivo? Il controllo geopolitico della regione? La pressione su Israele e i Paesi del Golfo? La volontà di ristabilire un ordine mondiale a guida americana? O forse, più semplicemente, il tentativo di distrarre l’opinione pubblica interna da crisi economiche e politiche?

Quale democrazia si esporta con i bunker-buster da 13 tonnellate? Quella che si impone dal cielo, senza dibattito, senza prove, senza il consenso del mondo?

Queste sono domande che richiedono risposte oneste. Perché se un giorno dovessimo scoprire che non c’era nessuna bomba, chi pagherà il conto delle vite spezzate, dei popoli destabilizzati, delle città in macerie (Non certo i mandanti USA)? Non si può bombardare, poi voltarsi e dire: “ops, ci siamo sbagliati… ma almeno vi abbiamo portato la libertà.”

La libertà di chi? La libertà di cosa? La libertà per chi comanda, o per chi subisce?

E infine: chi controlla chi controlla?

Attacco all’Iran: difesa preventiva o déjà vu iracheno? Chi controlla chi contolla?

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