Libri, recensioni 26 Giugno 2025

Recensioni – Oggi Maurizio Grasso vi farà conoscere la Harlem degli anni Settanta nel  romanzo Manifesto criminale di  Colson Whitehead

Recensioni - Oggi Maurizio Grasso vi farà conoscere la Harlem degli anni Settanta nel  romanzo Manifesto criminale di  Colson WhiteheadLivorno 26 giugno 2025  Recensioni – Oggi Maurizio Grasso vi farà conoscere la Harlem degli anni Settanta nel  romanzo Manifesto criminale di  Colson Whitehead

“Non è mai troppo tardi per leggere un buon libro”

Rubrica di recensioni, a cura dello scrittore e traduttore Maurizio Grasso.

Non sono sempre necessariamente recensioni di libri appena usciti, ma di “buoni libri”.

Recensioni – Oggi Maurizio Grasso vi farà conoscere la Harlem degli anni Settanta nel  romanzo Manifesto criminale di  Colson Whitehead

Per raccontare la Harlem degli anni Settanta nel suo ultimo romanzo Manifesto criminale (titolo originale: Crook Manifesto), Colson Whitehead non ha bisogno di adottare il gergo dei sobborghi neri: il suo è uno slang esistenziale, la grammatica di vite dagli snodi indecifrabili per chi non ha mai vissuto in quel microcosmo di reietti che vittimizzano reietti più reietti di loro.

Il romanzo è tripartito e coglie uno spaccato di tre anni specifici del quartiere: 1971, 1973, 1976, bicentenario della dichiarazione di Indipendenza. A Uptown la corruzione è un tessuto connettivo fatto di miriadi di incroci affaristico-criminali in cui sono coinvolti il procuratore distrettuale e, a scendere, fino all’ultimo dei galoppini della malavita. Questo termitaio non starebbe in piedi senza continui delitti che ne sono il mastice, che garantiscono l’omertà e con essa l’equilibrio. Qualcuno sale, qualcuno scende. I primi lo fanno sui cadaveri dei secondi.

È la regola, la legge di Harlem, dove la Black Liberation Army si finanzia con le rapine, dove brulicano poliziotti che si spartiscono per zona le tangenti dei grossi gangster, chiudendo entrambi gli occhi sulle loro malefatte. Ci sono poi piromani, scassinatori, ladri professionisti e ladruncoli occasionali, pusher, commercianti con una facciata onesta che hanno fatto la grana come ricettatori.

È il caso di Ray Carney, protagonista della prima parte, uno che sta rigando diritto da quattro anni. Carney sa che, se ci ricasca una sola volta, è come se non fosse mai uscito dal giro.

La malaugurata decisione di farsi procurare da un agente corrotto i biglietti per il concerto dei Jackson Five al Madison Square Garden, dove sua figlia l’ha supplicato di portarla, lo farà precipitare di nuovo nell’abisso senza fondo della malavita.

Lo scrittore newyorkese due volte premio Pulitzer ci proporrà una galleria di altri personaggi di colore. Tra questi Pepper, figura centrale della seconda parte, un simpatico duro, un fuorilegge indie e solitario che ha troppa personalità e desiderio di libertà per abbassarsi a fare lo scagnozzo di un gangster, insomma uno con una sua “morale”. Ora Pepper ha un lavoro pulito nella troupe di un regista nero come lui, chiamato Zippo per le sue inclinazioni incendiarie. È a Pepper che si deve il titolo del romanzo: «Un vero uomo ha una gerarchia del crimine, di ciò che è moralmente accettabile e di ciò che non lo è, un manifesto criminale. E chi aderisce a un codice inferiore è uno scarafaggio, un niente», sostiene Pepper.

È un approccio troppo eretico in un posto come Uptown, dove le mura hanno orecchi e non puoi sgarrare neanche su una quisquilia che tutti i “papaveri” lo sanno dopo dieci minuti e te la fanno pagare con creativo sadismo.

Pepper è stato “compagno di avventure” di Big Mike, il padre di Ray Carney. Per soldi davano fuoco a edifici, a volte lo facevano solo per saldare vecchi conti personali. Ritroveremo i nostri due “eroi” insieme nell’ultima, letteralmente “infuocata” parte.

Whitehead si immerge in assetto costante nella subcultura deviante della Harlem anni Settanta, jungla notturna anche di giorno, strade dove un civile bianco si può addentrare solo per sventatezza. Colson ci resta per un’apnea di quasi quattrocento pagine. In quegli anni il ghetto nero non è un’isola di degrado in Uptown: è circondata da un marciume tale, nelle istituzioni che dovrebbero combattere il crimine, Downtown compresa, che Frank Serpico, il mitico poliziotto che cercò di dimostrare la connection tra polizia e grandi allibratori, subirà un attentato per sua fortuna non mortale. La sua denuncia al New York Times nel 1971 costringerà il sindaco della città a nominare un’apposita commissione preceduta dal giudice Knapp, che a fatica cercherà di fare un repulisti nell’organico in divisa della Grande Mela.

Colson Whitehead è un autore straordinariamente empatico.

Sa come creare la suspense perfetta e tenere il lettore aggrappato ai braccioli della trama, soprattutto quando un personaggio che gode delle sue simpatie (si capiscono sempre le predilezioni di uno scrittore) corre seri rischi, come accade all’incolpevole Carney o allo spericolato Pepper dalle mille risorse e dalle mille vite. Ma è soprattutto un nero e la sua cifra di scrittore lo sospinge a parlare nei suoi libri della sua gente, afroamericani meno fortunati di lui, a spiegare le loro miserie materiali che talvolta ne portano in dote anche di morali.

Manifesto criminale è un noir (cos’altro potrebbe essere, con un titolo simile?) che si inserisce in una bibliografia abbastanza monografica: si pesca nella storia dei neri d’America dalla schiavitù a oggi, da La ferrovia sotterranea a I ragazzi della Nickel. Il contributo della fiction è importante, di un lirismo tremendamente aspro e cinico, ma si innesta pur sempre in una realtà che dai Kunta Kinte di un lontano ieri ai George Floyd di un oggi troppo attuale ha conosciuto gradi progressivi di riscatto ma non ancora la redenzione definitiva, altrimenti scriverne non avrebbe più una valenza di impegno civile, si limiterebbe ad alimentare il genere del romanzo storico.

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