Libri, recensioni 1 Dicembre 2025

Recensioni – Oggi Maurizio Grasso vi farà conoscere “Gesù, il re ribelle” di Giulio Busi

Recensioni – Oggi Maurizio Grasso vi farà conoscere “Gesù, il re ribelle” di Giulio Busi

Livorno 1 dicembre 2025 Recensioni – Oggi Maurizio Grasso vi farà conoscere “Gesù, il re ribelle” di Giulio Busi

“Non è mai troppo tardi per leggere un buon libro”

Rubrica di recensioni, a cura dello scrittore e traduttore Maurizio Grasso.

 

Nel recentissimo Gesù, il re ribelle. Una storia ebraica, il biblista Giulio Busi propone una sua personale e radicale interpretazione, sia pure nel solco di una tesi che sempre più si è fatta strada presso molti teologi: Gesù di Nazareth non ha inteso fondare una nuova religione, ma riformare quella ebraica, sotto la quale era nato e a cui era legato per la vita mediante il patto mosaico della circoncisione. La salvezza a cui egli allude non è quella dell’umanità ma del popolo di Israele. Non ha mai proclamato di essere il Figlio di Dio, se non come filiazione collettiva, cosa che ribadisce perfino quando, dopo la morte e la sparizione del proprio corpo, nelle spoglie di un giardiniere dice a Maria di Magdala: «Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro!» (Gv 20,17). Comunque sia, il sinedrio, secondo quanto dicono i Vangeli, lo considera un blasfemo e un pericoloso eretico, perciò non esita a consegnarlo al braccio secolare della legge.

Se il teologo Vito Mancuso ama parlare di Gesuanesimo in contrapposizione al Cristianesimo, costruzione dottrinale postuma che ha in san Paolo il suo principale ma non il solo architetto, Busi sottolinea soprattutto il lato ribelle di Gesù, soffermandosi sui passi evangelici più oscuri, che cozzano a tal punto con l’immagine mite del Cristo da essere di solito elusi nelle omelie oppure risolti con contorti simbolismi. Questi passi, negletti dall’esegesi, infilati in una stessa collana tradiscono di Gesù un’immagine ben diversa da quella propalata per due millenni dalla vulgata cristiana, sostiene lo studioso bolognese.

Per Busi, Gesù ha inteso formare un esercito non violento di discepoli che si ribellassero alla corruzione dei tempi. Nei Vangeli la parola di Gesù assume talora tratti metaforicamente violenti, ma mai lo sono le azioni, a eccezione della scena con i mercanti al tempio. In qualche modo, la ribellione di Gesù è asseverata dall’esterno, per esempio da chi, come Giuda, vedeva in lui un leader che guidasse il suo popolo alla rivolta contro l’occupante straniero. Ma Gesù arriva a Gerusalemme in groppa a un’asina, armato solo della sua parola. È lo stesso uomo che aveva detto: «Non sono venuto a mettere pace, ma una spada». Per Busi, si riferiva al trauma che avrebbe portato nelle famiglie dei discepoli, sottraendoli alla quiete domestica e creando sofferenze in chi restava.

Gesù ha messo in conto di essere travisato, malinteso. È pienamente consapevole di non essere il boia ma la vittima del potere. Sarà sacrificato. Nessuno può dire in quale momento della sua vita egli abbia compreso che quella era la sua missione, e quelle sette, ultime parole sussurrate prima di rendere l’anima a Dio non lo smentiscono, poiché è solo il suo corpo gemente a pronunciarle.

Tutti i teologi cristiani interpolano i loro scritti con abbondanti citazioni della Bibbia e dei Vangeli. Ciascun esegeta ha un diverso stile. C’è chi attinge alle fonti, dando pieno senso storiografico a questa metafora, c’è chi le interroga, c’è chi dialoga con esse. Giulio Busi, che non è un teologo ma piuttosto uno studioso di lingua e cultura ebraica, approccia le fonti come un detective. I Vangeli sinottici sono stati scritti in greco almeno quarant’anni dopo la morte di Gesù. Non è escluso, anzi è molto probabile che, nati dalla tradizione orale, siano pieni di interpolazioni, di forzature o, per contro, di reticenze suggerite dalla predicazione paolina e dalla sua prima “sistemazione” dottrinale. Verosimilmente, ciò che torna in tutti e tre erano fatti che non si potevano omettere, ma che vi siano stati interventi per così dire “redazionali” da parte di estensori che non furono testimoni dei fatti è praticamente certo.

Busi (come altri) non prende per buono tutto, consapevole che non tutto è “fonte”. Fa anche esempi concreti di passi in cui la visione teologica di chi scrive “manipola” il fatto nudo e crudo e con ciò lo contamina con un’opinione retrospettiva. Un esempio per tutti: l’episodio della sinagoga di Cafarnao raccontato da Marco (Mc, 1,23) e poi da Matteo. Marco scrive: «Ed ecco, nella loro sinagoga c’era un uomo con uno spirito impuro». È quell’aggettivo possessivo la pistola fumante, l’impronta digitale dello scisma cristiano. Ai tempi dell’evangelista Marco si è già scavato un solco abbastanza profondo tra il giudaismo ortodosso e ciò che sono ormai diventati i seguaci di Gesù, tra i quali forse i circoncisi sono una minoranza. Mai e poi mai, sostiene Busi, l’ebreo Gesù avrebbe sancito un simile distacco. Giulio Busi non è il solo biblista a credere che nei Sinottici vi siano aggiunte posteriori, volte a puntellare una teologia che all’epoca era ancora un cantiere.

Gesù inizia la sua vera attività pubblica con un esorcismo nella sinagoga di Cafarnao. È il Gesù esorcista e guaritore a far parlare di sé, a creare la sua fama grazie al tamtam. Solo dopo entrerà in gioco il suo carisma verbale. Il rabbi aveva bisogno delle folle che la sola parola non poteva procurare. Le nozze sono solitamente connotate dalla deroga, dalla festa e dalla gioia e non a caso Gesù si paragona spesso a uno sposo. Il suo è uno sposalizio mistico con le folle, che avvenga con il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci o col discorso delle beatitudini.

Gesù è un re, implicitamente lo ammette quando dice: «il mio regno non è di questo mondo». Un re ricercato, sul cui capo pende un ordine di arresto. Il suo apostolato è una milizia al servizio di questo regno. Il suo regno non è di questo mondo ma il suo nemico sì, e lui ha pochi soldati per combatterlo, una dozzina di uomini itineranti come una guardia del corpo. Come ha arruolato i “dodici”? Intanto, chiedendo loro di rinunciare a case, fratelli, sorelle, padri. E promette loro, quasi fosse un bottino di guerra, il centuplo di ciò a cui hanno rinunciato. Gesù non si purifica attraverso l’ascesi come i seguaci del Battista, decide di ribellarsi. Gesù trasmette insomma potere: potere di esorcizzare, di guarire, di predicare. Avoca a sé il potere sulla remissione dei peccati (l’adultera), sulle malattie (guarigione del lebbroso), perfino sulla morte (Lazzaro). Sono azioni eversive agli occhi della classe sacerdotale.

Quella che Busi chiama la «capacità di approfondire la Scrittura in modo creativo», da una parte è il fondamento del potere persuasivo di Gesù sulle menti (mentre i miracoli e gli esorcismi lo sono verso le “pance”), dall’altra sarà la roccia su cui si edificherà nei secoli la Chiesa romana in sempre più netta disgiunzione (e contrasto) con la tradizione ebraica. Gesù ha fatto proseliti ma non ha lasciato veri e propri allievi; non ha trasmesso questo suo dono esegetico delle Sacre Scritture.

Gesù non “abbassa” il suo linguaggio perché i discepoli possano capirlo, le sue metafore sono oscure, perfino quella sulla sua carne e sul suo sangue che oggi appare lampante almeno ai credenti e su cui si fonda l’eucarestia. Il solo espediente divulgativo che conosca è la parabola. Questa sua peculiarità viaggerà per quasi due millenni nella Chiesa petrina come prerogativa elitaria del suo clero, sarà attentata solo quindici secoli dopo da Lutero con la riforma e la sua rivoluzionaria scelta di tradurre la Bibbia in tedesco, rendendola comprensibile a tutti.

Recensioni – Oggi Maurizio Grasso vi farà conoscere “Gesù, il re ribelle” di Giulio Busi

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