“A Grandezza naturale” l’ultima opera di Erri De Luca. “Non è mai troppo tardi per leggere un buon libro”
“Non è mai troppo tardi per leggere un buon libro”
Rubrica di recensioni, a cura dello scrittore e traduttore Maurizio Grasso.
Non sono sempre necessariamente recensioni di libri appena usciti, ma di “buoni libri”.
Oggi Maurizio Grasso vi farà conoscere A Grandezza naturale l’ultima opera narrativa pubblicata da Erri De Luca
Tra Napoli e Gerusalemme
A Grandezza naturale (2021) è l’ultima opera narrativa pubblicata da Erri De Luca. È un libro di una delicatezza commovente, intriso di nostalgia come può essere un diario dedicato a ricordi familiari e a una “Città Madre”. Si sono accumulati negli anni senza poter essere dimenticati e chiedono di essere scritti solo nell’età in cui rischi di disperderli, di ucciderli, perché sono solo tuoi. Un libro sull’ammaestramento del silenzio e dell’esempio. «A Napoli giocare si dice pazziare»: in questa frase c’è molto di questo volume.
Non c’è soltanto Napoli. C’è, come spesso in De Luca, l’Ebraismo nei suoi Alfa e Omega: l’Antico Testamento e la Shoah. L’attenzione del lettore rimbalza così dal Golfo col Vesuvio alla Palestina, bagnati dallo stesso mare. Lo scrittore ci spiega che il suo interesse per il popolo di Israele è nato su un tavolaccio durante una visita a Birkenau. «Ero l’illeso che poteva sdraiarsi sopra i loro incubi», scrive.
Un poeta che scrive racconti
Si sa che la prosa di De Luca è piuttosto incline alla poesia. La densità dei suoi traslati nella pagina, la quasi latitanza di frasi che non contemplino almeno una metafora, un’antitesi, un paradosso. Prendere una parola e scoprire tutti i suoi addentellati nell’esistenza, tutte le sue declinazioni nella Storia dell’uomo. Non è un esercizio di stile; è l’essenza stessa della conoscenza umana che è nata ipertestuale, millenni prima che diventasse il tessuto del World Wide Web inventato da Tim Berners-Lee. È il suo marchio di fabbrica, come l’autore dice di Dio, nella bellissima premessa, a proposito del peccato originale. «La teologia parla di peccato originale, ma non riguarda solo la coppia esordiente. Comprende anche il loro Artefice che li ha costituiti tali e quali. Dopo la disobbedienza non li cancella né li riprogramma».
Un padre mancato
Dopo Il giro dell’oca, con A Grandezza naturale Erri De Luca torna sul tema della relazione tra padre e figlio che gli è così cara e insieme dolorosa.
La premessa calca la mano sull’incompiutezza sofferta dall’autore. La vita gli ha riservato un destino di solo figlio e rifiutato la paternità, se non quella tardiva di aver nascosto nella terra semi perché diventassero alberi. Nel ricordo sempre amorevole e malinconico del padre si avverte l’impossibilità, non soltanto di Erri ma di qualunque figlio, di ripagare un padre. Lui sa e confessa di averlo ripagato prima con l’insubordinazione e poi con una riconciliazione; ma questa è sempre intempestiva verso un genitore, perché la difesa contro il padre, afferma De Luca (qui si tradisce il rimorso) “non è mai legittima”.
Questa raccolta di vicende di padri e figli non è una semplice silloge di racconti, è in parte quel genere che si potrebbe definire storia immaginaria. Praticato anche da grandi scrittori, è un mélange di narrativa e saggistica, di récit e di essai. Nella prima, che dà il titolo al volume, il parallelo tra i “figli” Isacco e Moishe-Marc Chagall è un sandwich di tondo e corsivo, secondo che un brano parli dell’uno o dell’altro. Destini e scelte opposti. Isacco si lascia incaprettare e la sua cifra è l’obbedienza cieca al padre. Marc (come Erri) volta le spalle al suo, commerciante di aringhe a Vitebsk in Bielorussia, per scegliersi un suo destino: fare il pittore. Il risarcimento, il segno del pentimento è il ritratto del padre, che l’autore descrive nella sua immaginaria genesi. L’esercizio di reinvenzione continua con un pastore di nome Mosè, e finisce con il difficile rapporto tra l’unica coppia di Padre e Figlio che faccia parte di una Trinità; quello stesso Padre che fermò la lama di Abramo ma non i chiodi dei Romani conficcati nella carne viva di Gesù.
Tanti buoni motivi per leggere questo libro
A metà del libro c’è una lunga enclave. Il torto del soldato, già pubblicato in precedenza e rivisto per l’occasione, tratta del rapporto tra una figlia e un padre ex nazista in clandestinità. La storia è sicuramente appassionante e peraltro vera (gli fu riferita in una serata da un collega traduttore di yiddish). Tuttavia si sente che per De Luca è una storia di seconda mano, non è sua. Non ci sono le sue parole: ci sono quelle di un traduttore che non tradisce la lettera ma non ci mette niente di suo.
Le pagine di De Luca non si divorano (i suoi lettori abituali lo sanno), perché niente si tratterrebbe. Si centellinano, come un calice di rosso invecchiato. Infatti, sebbene la riga abbia l’a capo a fine margine e non a fine verso, si tratta di poesia e non di prosa. Ecco perché i suoi romanzi-racconti raramente superano le centotrenta pagine. Chi è riuscito a scrivere in versi opere monumentali, da Omero ad Ariosto passando per Dante e Milton, è passato alla storia. A Grandezza naturale è un libro da leggere, come libro di riflessioni ancor più che come storie di personaggi. Un libro in cui gli archetipi si animano e raccontano una loro Genesi alternativa, da un punto di vista che la storia e la filosofia ignorano o trascurano.