Cronaca 28 Giugno 2018

BL: “Basta con il far West. Il Porto è un bene comune”

Fino agli anni 80 i porti erano una sorta di Far West, campo di animato confronto delle componenti in gioco, con una classe operaia capace ma talvolta arroccata in difesa di antichi privilegi, imprenditori alla ricerca di profitto ad ogni costo, la mancanza quasi totale di regole e una richiesta di innovazione esponenziale e mal gestita, dettata dalle nuove pressanti esigenze della concorrenza mondiale. 
Un sistema così disomogeneo, sottoposto a pressioni e non regolamentato, ha fatto scaturire un’intensa conflittualità, con scioperi e blocco delle attività, in un momento in cui ai cambiamenti planetari del mercato dei trasporti marittimi si affiancava la trasformazione radicale del tessuto industriale nazionale.
Nel 1994 viene emanata la legge n. 84 di riordino della materia portuale basata sulla scelta politica di liberalizzazione delle attività portuali, scelta anticipata dal c.d. decreto Prandini.
Il porto, bene comune per eccellenza, in quanto bene demaniale, si apre alla privatizzazione, per cui si passa dalla gestione pubblica delle Compagnie portuali alla necessità di avere un assetto normativo che regolamenti in dettaglio tutti i cicli produttivi, che stabilisca in maniera netta compiti e responsabilità, che stabilisca la gestione del demanio e delle concessioni, portando con sé la libera concorrenza delle tariffe.
Si arriva all’abrogazione della riserva che la legge attribuiva alle Compagnie di lavoro portuale, modificando completamente l’organizzazione e la struttura lavorativa del porto che adesso si basa su due modalità operative:
1) art. 16: le operazioni portuali che comprendono il carico, lo scarico, il trasbordo, il deposito, il movimento in genere delle merci e di ogni altro materiale nell’ambito portuale, svolte per proprio conto o di terzi da un’unica impresa che provvede all’intero ciclo nave, ed i servizi portuali che sono attività e prestazioni specialistiche, complementari e accessorie al ciclo delle operazioni portuali;
2) art. 17: le mere prestazioni di manodopera temporanea che svolgono le medesime attività disciplinate dall’art. 16 i cui operatori vengono impiegati nei momenti in cui si verifichi un picco di domanda. Nel porto di Livorno la società autorizzata ad operare secondo quanto stabilito da questo articolo è ALP.
Le imprese hanno bisogno di attingere ad un serbatoio di manodopera per fronteggiare picchi di domanda, ma tale necessità si scontra con il divieto di intermediazione della manodopera o di fornitura temporanea di questa stabilito dalla L. 1369/1990.
La normativa prevede allora che le operazioni ed i servizi portuali non possono svolgersi in deroga alla legge 23 ottobre 1960, n. 1369, salvo quanto previsto e disciplinato proprio dall’articolo 17 della 84/94.
Tutto il personale operante in porto deve essere pertanto correttamente dimensionato e formato, le procedure devono essere condivise, la sicurezza dei lavoratori e le loro condizioni di lavoro devono prevalere sulla riduzione dei costi e sulla massimizzazione dei profitti.
Il caso dei lavoratori ALP si inserisce in questo contesto, con una deroga alla legge, seppur dichiarata come straordinaria ed eccezionale (autorizzando il terminalista di far operare un art. 16 in mancanza di personale art. 17, in un momento di picco di lavoro), che viene contestata dai lavoratori e che agiscono, forse di impulso e in modo sconnesso, per difendere i propri diritti. Evento che si conclude con il licenziamento di 5 di questi operatori.
Chiediamo al segretario generale dell’Autorità di Sistema Portuale del Mar Tirreno Settentrionale, Massimo Provinciali, che veste anche la carica di presidente della società ALP, per quale motivo i cinque lavoratori avrebbero dovuto, come lui sostiene, ostacolare senza motivo apparente le operazioni di un altro operatore portuale? Interessi personali? Puro svago? A che fine se non quello di denunciare e far rispettare le regole stabilite per legge?
Ci sembra davvero che, come ormai da pessima tradizione, si cerchi di andare verso una deregolamentazione dell’attività lavorativa portuale, si inventino soluzioni inaccettabili pur di ridurre costi, soluzioni alle quali i lavoratori dicono no e noi con loro.
Confidiamo infine che si possa trovare un proficuo dialogo tra le parti e che si arrivi ad un reintegro in servizio di queste 5 persone, che altrimenti si andrebbero ad aggiungere al già troppo nutrito e tragicamente preoccupante numero di disoccupati sul territorio livornese.
il Direttivo di Buongiorno Livorno