Convegno NSC su pari opportunità e questioni di genere nelle forze dell’ordine, “ci vuole una maggiore sensibilizzazione”
Si è tenuto ieri il convegno organizzato dal Nuovo Sindacato Carabinieri: “Diversità, Equità ed inclusione: prospettive di un certo genere nelle Forze dell’Ordine”, moderato dalla Consigliera di Parità della Provincia di Livorno Avv. Cristina Cerrai, il primo convegno in materia di pari opportunità e questioni di genere organizzato da una sigla sindacale militare. Dopo i saluti istituzionali del Vicario del Questore di Livorno Alfredo Matteucci, dell’Assessore del Comune di Livorno Andrea Raspanti, del Segretario Generale NSC Massimiliano Zetti e del Segretario Regionale Aggiunto NSC Toscana Costantino Fiori, sono stati introdotti i relatori con l’intervento della Presidente NSC Monica Giorgi. La stessa – dopo aver illustrato lo scopo del convegno – ha evidenziato la necessità di una maggiore sensibilizzazione dei Carabinieri in materia di pari opportunità e questioni genere. “Quello della sensibilizzazione – ha precisato – non è un problema di titoli di studio, perché si può avere tre lauree ed essere completamente avulsi a questi temi. Questa mancanza ha fatto sì che la scelta del modello virile come vincente ci ha inevitabilmente condotto a riconoscere come persone vincenti le persone di potere. E questo ci allontana, anziché avvicinarci, all’ascolto di chi ha bisogno, rischiando di renderci più sensibili, più attratti, da chi ha potere, piuttosto che da una vittima che ha bisogno di aiuto, con la conseguente percezione di ingiustizia sociale che ne può conseguire. Tutto questo ha quindi ripercussioni non solo sul lavoro, ma anche sulla qualità del servizio prestato al cittadino”.
Il filosofo Lorenzo Gasparrini ha ribadito la necessità portare questi argomenti nella professionalità di chi indossa una divisa, sostenendo come l’Arma ha in sé, a suo avviso, la capacità ad adattarsi ai mutamenti sociali. “I Carabinieri esistono da prima della Repubblica, esistono da prima della Costituzione. Esistono da prima di tutto un insieme di enormi dati culturali importantissimi per la società italiana. Si tratta quindi di un Corpo abituato a un cambiamento sociale, perché ne ha vissuti e sentiti tantissimi. Quando i Carabinieri hanno iniziato a esistere, la società italiana era qualcosa di completamente diverso da quello che è oggi. Ed evidentemente hanno operato il loro servizio continuando a cambiare insieme alla società, È questo il motivo per cui noi oggi i Carabinieri li troviamo nelle statue, nei monumenti, nei libri di storia, nelle antologie scolastiche. Hanno fatto e fanno parte della nostra cultura. Tutti noi e tutte noi, a prescindere da quello che può essere il nostro rapporto con l’istituzione Arma in sé, abbiamo un’immagine dei Carabinieri, perché loro fanno parte di quell’ambiente culturale nel quale sei nato e sei vissuto. L’Arma, con la sua autorevolezza, rimarrà importante nella cultura italiana anche con queste nuove soggettività”. Contestualmente, ha ribadito la necessità, per l’Istituzione, oltre di rivedere la sua idea di maschilità, di porsi delle domande sulle pressioni che ricevono le persone che indossano quella divisa, che quindi sono sottoposte a due ordini di pressioni molto differenti, quello dell’essere uomini – o donne – in questa società, e quello di portare questa divisa, precisando che: “L’uniforme ha un valore simbolico, che trasmette dei valori e dei messaggi, che tu in un certo senso porti inconsapevolmente, ma che con le tue azioni, trasformi: la persona che si rivolge a te e non ottiene la risposta che desidera, non dirà che sei stato tu non capace di darle quella risposta, ma che i carabinieri non sono preparati su quella cosa. Quel valore simbolico dell’uniforme va avanti con me che la indosso, si trasforma con me. L’istituzione si adatta ai cambiamenti sociali quando accoglie queste visioni differenti e le rende qualcosa di funzionante nella società che ha davanti, perché rappresentano una maggiore potenza, un arricchimento, una nuova capacità di esprimersi”.
La filosofa Alessandra Chiricosta ha spiegato cos’è il mito della forza virile, definendolo un racconto che fonda ordini e categorie logiche, un punto di partenza che oscura però tante possibilità che in quel mito non sono raccontate. “Il racconto della forza virile è il racconto di una forza che schiaccia. Un racconto di forza come violenza prevaricante che è violento anche per la presunta soggettività vincente. È una forza che ti condanna a gerarchie, ad esistere in quanto inferiorizzi qualcun altro. È un racconto che prevede una divisione binaria, dove c’è chi è dentro e chi è fuori.” Ha proseguito precisando che non è l’unico genere di forza che esiste: “Esistono tanti altri generi di forza. Quel tipo di forza è connesso ad una certa forma di militarizzazione, ad una forma precisa di militarizzazione, quella patriarcale. Non permette di fare entrare quella diversità che è tanto importante e che ci riconsegna sensibilità, comprensione, capacità di saper cogliere la giustizia sociale. Esistono infatti anche tipi di forza non oppressiva, che nascono dalle arti di combattimento orientali che ci spiegano come essere forti non è un portato solo di alcuni tipi di fisicità. Non esistono corpi forti o deboli di principio. Ma esiste la capacità di capire di ciascun corpo, corpo-mente insieme, quali siano i suoi punti di forza, e di debolezza. Ognuno di noi è diverso l’uno dall’altro. Per questo l’arte del combattimento non mi parla di un’uniformità ad una norma. Mi parla di autocoscienza, mi parla di capire chi sono, chi ho di fronte a me, di capire perché quella persona che ho davanti è arrivata, per esempio, ad un livello di aggressività così alto. Mi racconta che combattere significa essere sensibili, capire, significa essere intelligenti, non mi parla solo di una forza cieca e bruta che opprime. Quest’ultimo tipo di forza, è il mito della forza virile”.
L’Avv. Laura Lieggi ha affrontato quelli che sono i tipi di richieste che le sono maggiormente capitati nell’ambito della sua professione da parte delle militari, affrontando prima quelle che le sono state rappresentate militari giovani, da poco arruolate, spesso vittime di molestie, poi quelle connesse allo stato di maternità, prima della gravidanza e dopo, e le modalità attraverso le quali le lavoratrici vengono discriminate in tal senso. È emerso come, molto spesso, le militari – alla stregua della stragrande maggioranza delle vittime di violenza – sono poco propense a denunciare, temendo di essere loro stesse il problema in quelle situazioni, che provocano in loro un forte senso di colpa, precisando come questo sia anche riconducibile soprattutto ad una “mentalità” radicata nel nostro Paese così come nelle caserme.
Alessio Avellino, poliziotto e Presidente di Polis aperta, ci ha parlato di cosa significa essere un poliziotto trans, in un contesto come quello della Polizia che è sostanzialmente binario, ovvero composto da maschi e femmine, partendo dalla seguente domanda: “Fino a che punto una persona può rinunciare a sé stessa per sentirsi parte di un’organizzazione più grande che nutra quel bisogno di riconoscimento e di appartenenza, come può essere la Polizia di Stato o l’Arma dei Carabinieri? Quanto la mia identità può essere messa da parte per tutto questo?” Ha definito l’essere trans come un percorso vastissimo per affermare il proprio corpo, un percorso che deve essere interiorizzato in primis da chi decide di intraprenderlo. Una persona trans che capisce di esserlo, non si sveglia una mattina e decide di esserlo, spesso pensa di essere sbagliata e necessita di tempo per comprendersi. Ci ha spiegato come spesso la sensazione provata dalle persone trans è quella di essere “persone screditate che stanno di fronte ad un mondo che non le accetta”. Precisando che: “La discriminazione non è sempre volontaria o intenzionale e dirsi discriminati non è dirsi perseguitati”.
Nelle conclusioni, la Consigliera Regionale di Parità della Regione Toscana Maria Grazia Maestrelli ha portato esempi pratici di discriminazioni sul luogo di lavoro nelle quali è stato richiesto il suo intervento in qualità di Consigliera. L’evento è stato anche l’occasione per evidenziare l’importanza della figura della Consigliera di Parità, a molti sconosciuta. Esistono infatti, su tutto il territorio nazionale, oltre ad una Consigliera Nazionale di Parità – il cui ufficio ha sede a Roma presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – anche Consigliere di Parità per ogni Regione e Provincia d’Italia. Sono figure istituite per la promozione e il controllo dell’attuazione dei principi di uguaglianza di opportunità che nell’esercizio delle loro funzioni rivestono la qualifica di pubblico ufficiale con l’obbligo di segnalare all’Autorità giudiziaria i reati di cui vengono a conoscenza. Tra i loro compiti vi è infatti l’obbligo di controllare l’attivazione dei principi di pari opportunità e di non discriminazione sul lavoro ed il loro intervento è gratuito.