Cronaca 17 Dicembre 2025

“Ero in carcere e siete venuti a trovarmi”: la lettera dei detenuti di Livorno per il Giubileo

Livorno 17 dicembre 2025 “Ero in carcere e siete venuti a trovarmi”: la lettera dei detenuti di Livorno per il Giubileo

“Ero in carcere e siete venuti a trovarmi”: la lettera dei detenuti di Livorno per il GiubileoIn occasione del Giubileo dei detenuti, celebrato il 14 dicembre 2025, le classi della sezione carceraria dell’Istituto Vespucci-Colombo di Livorno (indirizzo socio-sanitario, classi 3ª, 4ª e 5ª), hanno promosso un importante momento di riflessione e condivisione all’interno della casa circondariale “Le Sughere”.

Da questo percorso è nata una lettera intensa e profonda, scritta direttamente dai detenuti, che si rivolge alla città di Livorno e alla Diocesi, come segno di dialogo, ascolto e corresponsabilità. Partendo dalle parole del Vangelo di Matteo – “Ero in carcere e siete venuti a trovarmi” – il testo affronta tre grandi temi del Giubileo: libertà, giustizia e speranza, vissuti e riletti attraverso l’esperienza concreta della detenzione.

La presenza della Porta Giubilare all’interno del carcere diventa simbolo di un legame che unisce chi è recluso e chi vive fuori, superando muri, pregiudizi e distanze. Questa lettera non chiede giustificazioni, ma offre pensieri, domande e testimonianze che invitano a guardare alla persona prima dell’errore, alla possibilità di cambiamento e alla dignità che nessuna condizione può cancellare.

Un contributo autentico e coraggioso, che restituisce voce a una parte spesso invisibile della comunità e che si propone come occasione di riflessione per tutta la Chiesa e per l’intera società.

Di seguito la lunga lettera dal carcere:

“Ero in carcere e siete venuti a trovarmi” (Mt 25,36)
Lettera dalla casa circondariale “Le Sughere” alla città e alla Diocesi di Livorno per l’anno giubilare 2025
Le parole di Gesù in Mt 25,36 invitano a farsi prossimo di quella categoria di persone sofferente ed
emarginata che si trova in carcere. Non potendo aprire le porte materiali, possiamo però ascoltarli e
condividere alcune riflessioni sul nostro vivere cristiano. La porta del giubileo, presente in carcere,
è infatti una porta che ci unisce nella fede e ci rende parte di un’unica comunità. Abbandonando
ogni pregiudizio che avvolge questo ambiente e consapevoli che le persone in esso, seppur
colpevoli di reato, non sono mai dimenticate da Dio, siamo lieti, in occasione della giornata
giubilare dedicata ai carcerati il 14 dicembre, di divulgare questa lettera ad opera dei detenuti del
carcere di Livorno alla nostra Diocesi e alla nostra città.
Per aiutare lo svolgimento abbiamo posto ai detenuti alcune domande sui temi della libertà, della
giustizia e della speranza, certi che queste stimolino anche una risposta da parte di chi sta leggendo.
La libertà …
Cominciamo parlando della libertà, un tema che in carcere sembra un tabù, e parlarne sembra quasi
irrispettoso per chi è detenuto da molti anni; in realtà, la fede cristiana ci apre ad un concetto di
libertà che può esser pienamente vissuto anche in un ordine restrittivo.
Cosa pensi quando senti la parola libertà? Che cosa la mette in pericolo e a quale prezzo sei
disposto ad ottenerla?
Quando penso alla libertà vedo panorami fantastici, con distese di terreni fioriti e il canto degli
uccellini che mi portano molto conforto, tra montagne, laghi, mare, avvolto dai rumori della
natura, senza nessun vincolo posto dall’uomo. Ma penso anche alla concretezza di piccoli gesti
come una passeggiata sul mare, una pizza o un caffè insieme. Attraverso queste immagini,
scopriamo quanto Dio ci ha donato al momento della creazione: un luogo dove vivere in libertà, in
cui Dio stesso provvede ai nostri bisogni (cf. Mt 6,26), con la responsabilità di proseguire
quell’atto buono con cui tutto è iniziato (cf. Gen 1). Stare con la nostra famiglia e poter avere un
lavoro sono tra le migliori espressioni della libertà, di cui ci si rende conto solo quando vengono a
mancare: non abbiamo saputo apprezzarle quando le avevamo e riacquistarle non ha prezzo;
saremmo disposti a tutto, perciò invitiamo tutti coloro che le posseggono ad apprezzarle e tenerle
care, soprattutto i giovani. Noi detenuti siamo esperti di libertà, perché nella privazione ne
abbiamo colto la preziosità: solo nella ricerca si coglie il valore del dono perduto! E non importa
come inizia la vita o come si evolve, ma è importante come scegliamo di finirla! Una riflessione sul
tema della libertà invita anche a guardarci dentro: non esiste una libertà assoluta, slegata da ogni
vincolo della società; non c’è libertà nel fare il male, ma solo nel fare il bene verso il prossimo e
verso se stessi, nel perdonare, nell’amare, nel ricercare la verità, nel conoscere, nell’aiutare gli
altri. La libertà è dentro di noi e non fuori da noi: essa è messa in pericolo dai pregiudizi, dalle
ingiustizie, dall’uso sregolato della tecnologia, dall’odio verso gli altri, dalle paure. Ci sono catene
interiori che rendono schiavi molto più delle sbarre in ferro. Ricordiamoci di quanto ci dice san
Paolo, che anche lui ha vissuto il carcere: “Cristo ci ha liberati per la libertà!” (Gal 5,1).
La giustizia …
Il secondo tema proposto per la riflessione giubilare è il tema della giustizia.
Può esserci una giustizia che ama e perdona e non soltanto che punisce? Quale pena dovrebbe avere
un colpevole? Come reagire in caso di ingiustizia?
Dobbiamo distinguere una giustizia divina, che ama e perdona, come nel caso di Caino (cf. Gen 4),
degli abitanti di Sodoma (cf. Gen 18), dei Niniviti (cf. Gn 3,10), della donna adultera (cf. Gv 8,1
11), del buon ladrone (cf. Lc 23,39-43) e una giustizia umana, a volte ingiusta, che vuole soltanto
condannare, quando ci sono reati gravi. Succede anche di ricevere una condanna senza sapere il
perché e non sempre la pena è adeguata alla colpa, ma aggravata da pregiudizi. Ciò appare
indubbiamente un’ingiustizia, di cui paga il conto la persona più indifesa, senza possibilità di
reazione. È giusto che chi sbaglia paghi, senza tirarsi indietro, ma ci deve essere sempre una
seconda possibilità, un percorso di recupero; la giustizia umana deve prendere esempio da quella
divina che non punisce, ma aiuta a prendere consapevolezza del male fatto e protegge il colpevole
(vedi Caino in Gen 4,15 e le città di rifugio in Nm 35,9-15), offrendoli sempre possibilità di
redenzione. La pena allora dovrebbe mirare al reinserimento nella società, non ad un semplice
“rendere male per male”; dare il carcere a vita serve solo per una vendetta sociale, a placare la
rabbia delle vittime e del popolo, illudendoli che sia la soluzione “giusta”. Ma Dio ci insegna ad
amare il prossimo e a perdonare; non si può calpestare la dignità di un detenuto; egli deve avere
possibilità di riscattarsi, di lavorare e non stare fuori dal mondo per sempre. Di conseguenza, la
pena deve essere sempre temporanea e la giustizia dovrebbe dare nuove opportunità, sotto una
supervisione, senza che il reo sia abbandonato e rischi di ricadere nell’errore, una volta uscito dal
carcere. La pena dunque deve trasformarsi in ravvedimento, perché la speranza di cambiamento
non deve mai venir meno. “L’uomo non è il suo errore” diceva don Oreste Benzi e oltre le sbarre è
possibile un futuro diverso.
La speranza…
Concludiamo allora la nostra lettera proprio con quest’ultimo tema appena citato, la speranza
cristiana, il tema che papa Francesco ha scelto per questo Giubileo, percependone una profonda
mancanza nel nostro modo di vivere oggi.
In cosa si fonda la mia speranza? Come posso portare speranza a chi l’ha perduta? Quali sono i
momenti in cui mi è mancata di più la speranza?
La speranza si fonda sulla certezza che l’amore di Dio non abbandona mai e questa certezza
permette di vivere curando gli altri, amandoli, e lavorare per contribuire a migliorare la società.
Ci sono molti segni positivi intorno a me, piccoli gesti, come stare vicino a chi è senza coraggio e
fargli capire che c’è sempre una via d’uscita, perché bisogna sempre credere nella speranza. La
speranza è fatta di realtà, concretezza non di illusioni e rappresenta l’ancora di salvataggio nelle
tempeste più imponenti della vita. La speranza è alimentata dalla fede in Gesù, dalla preghiera,
dalla scienza (grazie alla ricerca sanitaria), dalla consapevolezza che il mondo è creato da Dio.
Per noi poi è importante la presenza di una famiglia che attende, spera, ama, perché là si trova la
motivazione per andare avanti; quando i figli crescono, costruiscono il loro futuro e a loro volta
fondano una nuova, bella famiglia. A volte ci sono momenti di debolezza, e pensi di non farcela, la
speranza si riduce al minimo; è proprio in questi momenti che bisogna avere la forza di andare
avanti e prendersi le proprie responsabilità, lavorando su se stessi per migliorare la situazione.
Non bisogna mai fermarsi, anzi è necessario avere il coraggio di voltare pagina, orientarsi in
nuove circostanze e trovare un nuovo punto di partenza. Bisogna anche guardare a chi sta peggio
di noi e soprattutto alle persone che si amano, che danno forza per andare avanti.
Con l’augurio che questa lettera sia divulgata il più possibile, affinché tutta la Chiesa, anche quella
in carcere, possa essere ascoltata e possa contribuire a realizzare l’amore che viene da Dio e che
libera da ogni catena.
Ad opera dei detenuti del carcere di Livorno
Classi di religione 3-4-5 indirizzo socio-sanitario dell’Istituto Vespucci-Colombo
Livorno, Giubileo dei detenuti, 14/12/2025

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