Gestione Centro Donna, “Il Comune ripensi le proprie scelte gestionali”
Centro Donna e scelte gestionali, l’Associazione Centrodonna Evelina De Magistris di Livorno chiede di aprire un confronto
“Un Centro donna è un Centro donna …
Tra noi socie di Evelina De Magistris, in diverse abbiamo partecipato, progettato, fondato il Centro Donna di Livorno, nel 1984.
Anche per questo teniamo al Centro Donna, oltre ai motivi, per noi fondamentali, dettati dalle nostre convinzioni in tema di cittadinanza attiva e di posizionamento femminista.
Dal 2002, anno in cui il Comune decise di esternalizzare la gestione del Centro Donna, abbiamo assistito ad una progressiva riduzione delle prospettive e delle scelte su cui il Centro era nato.
Leggiamo nella delibera istitutiva del 28 febbraio 1984 che si individuavano tre funzioni fondamentali:
quella di aggregazione, quella di documentazione e di ricerca, quella di offrire momenti di confronto attorno a tematiche presenti e pressanti nella vita di gran parte delle donne.
La forma di gestione individuata era segnata da una forte partecipazione delle donne che ne avevano desiderio, inserite in gruppi tematici riconosciuti dall’Amministrazione, del tutto avulsa da logiche di rappresentanza partitica o altro.
Questo carattere inedito e per molti versi straordinario si perse con la scelta del 2002:
si affidò la gestione del Centro ad un soggetto esterno, secondo la logica dell’affidamento di un servizio.
Un cambio radicale di prospettiva, miope e infecondo, e soprattutto non in grado di rispondere ad una realtà sociale, politica, culturale femminile in grande fermento.
Ci vorrebbero volumi interi per rappresentare ciò che è avvenuto, in questi anni, nel mondo comune delle donne.
Serviebbero più giornate di confronto per tentare di descrivere cosa si muove oggi, qui e ora, cosa si discute, cosa si sceglie in quel mondo. l’enorme complessità di desideri, di guadagni simbolici e fattuali, di difficoltà che perdurano, di conflitti, di relazioni con il mondo del lavoro, con la cultura specialistica e diffusa, con la pratica del potere.
Per sgomberare il campo da ogni equivoco, non imputiamo certo questo arretramento ai soggetti che hanno gestito, negli anni, il Centro:
il punto discriminante è la scelta politica del modello di gestione.
Inoltre, oltre a non tenere il passo con quanto si muoveva nella realtà e che ci siamo sforzate di rappresentare, il Centro ha assunto sempre di più, quasi esclusivamente, la fisionomia di Centro antiviolenza (CAV).
Altra questione da mettere in chiaro: lungi da noi sottovalutare il dramma della violenza subita da troppe donne.
Lo sappiamo bene: fin dai suoi primi passi, quasi quaranta anni fa, abbiamo ascoltato e offerto aiuto a quelle donne che si rivolgevano al Centro perché vittime di violenza e di soprusi.
Abbiamo visto che, anche in documenti ufficiali della Regione Toscana, il Centro Donna di Livorno è assimilato tout court ad un CAV.
Non sappiamo se ci siano stati atti politico-amministrativi (ad esempio, delibere consiliari) che abbiano sancito tale scelta: se vi fossero, non ne siamo a conoscenza.
Fatto sta che, nella recente manifestazione di interesse rivolta ai soggetti del Terzo settore per l’affidamento della gestione del Centro nei prossimi tre anni, il Comune ne pone ancora centrale la fisionomia di CAV.
Pur apprezzando i tentativi di assicurare una maggiore fruizione del Centro stesso, rispetto ad un bando che era stato pubblicato lo scorso mese di maggio, la funzione di CAV vi appare strategica, ed altre attività e caratterizzazioni appaiono residuali.
Noi pensiamo che questa sia una scelta di retroguardia.
Il mondo delle donne non è riducibile alla violenza che, purtroppo, subiscono.
Anzi: un Centro donna, oggi più che mai, deve essere un luogo di crescita culturale, politica e sociale; un luogo in cui si parla di libertà e di autodeterminazione, in cui si mettono a confronto idee, progetti, modi di stare al mondo che possano far crescere l’indipendenza simbolica femminile, il senso di sé, il senso del proprio valore.
Questo, a nostro parere, è il nodo cruciale per combattere la violenza contro le donne: percorsi per essere consapevoli, autonome, libere, indipendenti dagli stereotipi che ancora troppo le catturano. Per creare socialità e relazione.
Proprio la pandemia ha messo al centro la capacità femminile di prendersi cura del mondo, a partire da come lo si può pensare/ri-pensare/agire. Pensieri liberi, però, hanno bisogno di uno spazio libero.
Uno spazio che possa essere condiviso e agito anche dalle donne più giovani, che spesso si districano tra desiderio di esserci, desiderio di mondo, pratiche inedite di relazione e di costruzione di socialità, che si esprime anche nell’abitare/frequentare i luoghi comuni con modalità proprie, e precarietà e compressione delle possibilità del vivere.
Abbiamo proposto all’Amministrazione, alcuni mesi fa, un modo di gestione diverso del Centro Donna. I suoi 37 anni di storia, le migliaia di donne che lo hanno frequentato, le iniziative che vi si sono svolte, i servizi che ha fornito e che fornisce stanno a dimostrare che il Centro Donna sia un bene comune per eccellenza.
Per questo, noi dell’associazione Evelina De Magistris pensiamo che la gestione del Centro Donna debba essere sottratta alla logica dell’affidamento ad un soggetto, pur del Terzo settore, ma trasformarsi, nell’ottica, appunto, dei beni comuni, in un Patto di collaborazione tra l’Amministrazione comunale e i soggetti del territorio — associazioni, gruppi informali e gruppi di cittadine — orientato alla promozione della solidarietà, del benessere, dell’autodeterminazione e della valorizzazione della storia e della cultura delle donne.
Un luogo di confronto, di scambio dei saperi e delle conoscenze, ma anche un luogo in cui, a carattere volontario, si crei un orientamento ai servizi per tutte le donne che possono trovarsi in difficoltà, anche attraverso una mappatura delle opportunità e delle risorse presenti sul territorio.
Una co–progettazione di interventi, di azioni, di linee di sviluppo, ovviamente nel massimo rispetto dei ruoli.
Questa gestione potrebbe consentire la presenza di saperi e competenze multidisciplinari, orari di apertura più ampi e una riduzione dei costi per l’Amministrazione.
Non sarebbe un orientamento isolato:
il dibattito in corso su luoghi importanti come la Casa internazionale delle donne di Roma, la Casa delle donne di Milano, quella de L’Aquila, per citare alcuni esempi, portano i segni di questo orizzonte, quello cioè del ripensare questi luoghi come beni comuni.
Chiediamo al Comune di Livorno di ripensare le proprie scelte gestionali e di aprire un confronto su questi temi.
Si obietterà sui tempi: potrebbe forse essere adottata una soluzione-ponte, in modo da discutere in modo approfondito e disteso.
È nostro desiderio aprire un dibattito pubblico su questi temi”.