Provincia 25 Aprile 2023

La Marina nella Guerra di Liberazione: Le battaglie di Piombino e dell’Elba

25 aprile 2023

La resistenza armata immediata in Italia

In questa primissima fase, immediatamente successiva alla dichiarazione di armistizio, le azioni di resistenza agli attacchi dei tedeschi furono condotte in base alla interpretazione soggettiva delle poche direttive avute, spesso reagendo solo agli attacchi e mantenendosi su un piano conciliante e di non irritazione dei tedeschi.

Va inoltre ricordato che i combattenti italiani si trovarono in una difficile posizione, poiché non coperti giuridicamente, in quanto, di fatto, esisteva la rottura di una alleanza, ma non una dichiarazione di guerra, per cui le forze armate agivano solo sulla base del diritto di autodifesa.

Tale situazione consentì ai tedeschi una libera interpretazione delle leggi internazionali, considerando i militari italiani come “civili armati” ed applicando a loro le disposizioni relative, ciò che condusse a gravi episodi di vero e proprio assassinio senza processo.

Il 14 settembre Hitler diede ordine di fucilare sul posto gli ufficiali italiani che guidavano la resistenza armata contro i tedeschi e i militari catturati con le armi in mano.

Tirreno centro settentrionale

A Forte dei Marmi aveva sede il Comando della Flottiglia Motozattere dell’alto Tirreno (capitano di fregata Manlio Lazzeri) da cui dipendevano circa 120 ufficiali e 1300 uomini.

All’atto dell’armistizio erano effettivamente presenti 55 ufficiali e 550 uomini. Le motozattere dipendenti erano sparse in vari porti della costa ligure-toscana; molte, data l’intensa attività sostenuta durante la campagna di Sicilia, erano ai lavori o in precarie condizioni di efficienza.

Tutte le unità in grado di muovere, anche se con menomate condizioni, si allontanarono e subirono le conseguenze della ridotta autonomia ed efficienza e del notevole contrasto tedesco.

Nelle acque fra l’Isola della Gorgona, Livorno e Castiglioncello, avvennero scontri a fuoco fra motocannoniere e motosiluranti delle due parti e fra i posamine tedeschi Pommern e Brandeburg e le navi italiane in transito.

Le unità dell’ammiraglio Nomis di Pollone (torpediniere Indomito e Impavido), con a bordo il Duca d’Aosta, lasciarono La Spezia alle 10:30 dirette alla Maddalena; in seguito all’occupazione di tale base, alle 15:30 ricevettero l’ordine di dirigere per Portoferraio, dove giunsero attorno alle 19:30.

Contemporaneamente l’ammiraglio Martinengo perse la vita a seguito di uno scontro a fuoco, presso l’Isola di Gorgona, fra le VAS 234 e 235 e motosiluranti tedesche; unica vittima a bordo della VAS 234 che, colpita dal fuoco nemico, prese fuoco ed esplose.(1*)

Nelle acque livornesi andarono perduti anche l’incrociatore ausiliario Pietro Foscari e il piroscafo Valverde che scortava. Fu anche gravemente danneggiata la nave trasporto munizioni Buffoluto.

Alcune unità riuscirono a passare; altre preferirono, come visto, dirigere verso la Spagna o ripararono
nelle isole dell’arcipelago toscano da dove, successivamente, riuscirono a raggiungere i porti della Sardegna in mano italiana.

Tre VAS (238, 239 e 305), agli ordini del capitano di corvetta Enrico Varoli Piazza, e alcune MZ (709, 749 e altre) furono catturate.

La MZ 703 (tenente del CREM Cesare Favaretti) si autoaffondò per non essere catturata.

L’episodio certo più significativo della reazione ai tedeschi subito dopo la dichiarazione di armistizio è quello, già accennato, della resistenza opposta all’occupazione di Piombino e dell’Isola d’Elba, che portò a una battaglia in varie fasi.

 

Esso riveste un’importanza particolare poiché alla lotta parteciparono, in unità d’intenti, i militari, i politici (comunisti, in genere, dato il carattere operaio della città di Piombino) e la popolazione civile, e può essere considerato il punto di nascita della Resistenza intesa come lotta di popolo contro l’occupazione nazista.

La difesa di Piombino rientrava nella zona di responsabilità della 215ªdivisione costiera.

Comandava il settore costiero e il presidio di Piombino il vice comandante della divisione, generale Fortunato Perni.

A Piombino vi era un Comando Marina, retto dal capitano di fregata Amedeo Capuano. Della difesa della costa facevano parte anche le forze della Marina, agli ordini del capitano di corvetta Giorgio Bacherini; da essa dipendevano tre batterie navali e anti-aeree della Marina e due batterie, munite di radar, armate dall’Esercito.

Nella pineta, vicino a Venturina, si trovava accampato il XIX battaglione carri M/42, alle dipendenze del Settore Costiero di Piombino, con 20 carri armati e 18 cannoni semoventi, ma con munizioni solo per le mitragliatrici.

Dal Comando Marina dipendevano circa 800 marinai (di cui 500 per le batterie). A Piombino era di stanza anche un battaglione costiero e, quale punto d’imbarco per l’Elba, la Corsica e la Sardegna, vi si trovavano varie centinaia di militari in attesa della partenza per tali destinazioni. In complesso un buon numero di truppe con un discreto armamento.

I tedeschi disponevano di un sottufficiale e 7 o 8 marinai che armavano la Stazione Radar Costiera. In porto vi erano una
decina di unità da sbarco e costiere tedesche (con circa 400 uomini a bordo), quattro dragamine e cinque unità sussidiarie italiane.(2*)

Nella necessità di controllare il porto per assicurare le linee di comunicazione con la Corsica, i tedeschi saggiarono la consistenza della difesa.

Nella notte fra l’8 e il 9 avvennero scontri al Portovecchio, ove una pattuglia italiana fu presa in ostaggio dai tedeschi che stavano caricando materiali, armi e carburanti sulle loro unità.

Il comandante Bacherini che, all’atto della dichiarazione di armistizio, aveva fatto prigionieri i marinai tedeschi della Stazione Radar, fu avvertito che gruppi di marinai tedeschi procedevano a disarmare le sentinelle italiane dei moli e dirigevano verso un gruppo di mitragliatrici, armate da marinai.

Bacherini ordinò al sergente che le comandava di fare aperta dimostrazione di ostilità e, se necessario, aprire il fuoco sulle navi e sugli uomini.

Quando i tedeschi si allargarono per cercare di circondare il nucleo di mitragliatrici, queste aprirono il fuoco sia sugli uomini sia sulle navi e si accese una battaglia, cui presero parte anche le batterie, che terminò solo dopo un quarto d’ora quando i tedeschi si reimbarcarono sulle navi.

Per decisione del generale Perni i tedeschi furono lasciati liberi a condizione che le navi tedesche si allontanassero dal porto; furono restituiti i prigionieri catturati e furono riconsegnate le armi sequestrate.

 

Il comandante Capuano intimò alle navi tedesche di lasciare al più presto il porto, cosa che avvenne poco prima di
mezzogiorno del 9. Il bilancio approssimativo dello scontro può così riassumersi: quattro motozattere furono affondate in porto, un’altra affondò, per i danni subiti, poco dopo aver lasciato il porto, assieme alle altre unità, con a bordo tutto il personale tedesco. I tedeschi ebbero morti e feriti che trasportarono a bordo delle navi.

Fra gli italiani si ebbero tre feriti, di cui due marinai.

Alle 04:30 del 10, un nuovo convoglio di navi da guerra tedesche si presentò davanti a Piombino chiedendo di entrare in porto per potersi rifornire di acqua e combustibile; i contatti furono tenuti con il generale Perni, che diede l’autorizzazione, precisando che l’ingresso doveva avvenire dopo le otto e le navi dovevano ormeggiarsi al pontile ILVA.(3*)

Il comandante Capuano, contrario all’ingresso delle unità tedesche in porto, mantenne un atteggiamento guardingo, mentre la popolazione cominciava a rumoreggiare e ad armarsi con armi di fortuna.

 

La situazione divenne anche più ingarbugliata per l’arrivo delle quattro VAS provenienti da Imperia, di cui si è già detto. Queste, in cerca di un porto dove potersi rifornire di carburante, erano giunte davanti a Portoferraio e furono accolte dal tiro di un batteria costiera italiana che le aveva scambiate per unità tedesche. Diressero, quindi, per Piombino. Il Comando Marina segnalò alle unità di allontanarsi, data la presenza delle navi tedesche, ma le due torpediniere tedesche intervennero prontamente e misero in atto la prima azione ostile contro i reparti italiani, prendendo sotto tiro le VAS e minacciando di aprire il fuoco; fu inviato a bordo delle unità italiane personale armato tedesco, che si impossessò delle mitragliatrici e costrinse le VAS a dirigere per il porto assieme alle navi tedesche.

Il comandante Albrand chiese che per 24 ore fosse sospeso il traffico di traghetto con l’Isola d’Elba (altro segnale checonferma le intenzioni aggressive tedesche).

In città i carabinieri intervennero per sciogliere gli assembramenti di cittadini, minacciando di aprire il fuoco. Intanto in città cominciavano ad affluire centinaia di soldati e marinai sbandati, provenienti dalla Liguria e da città toscane che, lasciati liberi dai tedeschi che non erano in grado di controllarli, cercavano di raggiungere le loro case in Sardegna o all’Isola d’Elba; la presenza di questi sbandati influì negativamente sul personale italiano ancora in armi, che non vedeva per quale ragione dovesse essere ancora impegnato in servizio mentre gli altri, liberi, andavano a casa.

La popolazione, guidata dal Comitato di Concentrazione, resasi conto della precarietà, specie morale, della situazione, decise di dare sostegno ai militari italiani, e cittadini armati si unirono ai soldati e ai marinai invitandoli a riprendere le loro posizioni presso le batterie.

Un 2° capo, con una pattuglia di sei marinai, con fucili e sottogola, su invito del Comitato di Concentrazione, intervenne alla stazione ferroviaria, impedendo la partenza del treno delle 11, carico di marinai (in giacca borghese e zaino) e di soldati.

I marinai furono rinviati alle batterie, il cui personale fu integrato, in alcuni casi, da personale civile.

A questo punto i contrasti fra Perni e Capuano sul comportamento da tenere nei confronti dei tedeschi si fecero più gravi.

I tedeschi, intanto, con ogni pretesto, continuavano a far sbarcare uomini armati, che procedevano a successive occupazioni di posizioni strategicamente importanti.

 

Alle 11:30 istituirono un doppio posto di guardia fra il porto e il molo delle acciaierie (dove erano ormeggiati il Carbet e la T.A. 9);(4]) occuparono anche il porto, compresa la Capitaneria e il Semaforo, e la plancia comando della batteria Semaforo.

A mezzogiorno giunsero in porto altre unità navali tedesche: imbarcazioni fluviali, del tipo penische, francesi e olandesi; 4 MFP,(5*)
2 imbarcazioni tipo FL,(6*) con il comandante della 10ª squadriglia Soccorso in mare.

Alle 13:20, in appoggio della difesa di Piombino, uscirono da Portoferraio l e corvette Folaga (capitano di corvetta Carlo Thorel), Ape (tenente di vascello Rodolfo Balbo di Vinadio) e Cormorano, che avvistarono nel Canale di Piombino
cinque motozattere tedesche; alle 13:50 le unità italiane aprirono il fuoco, che sospesero, poco dopo, nel timore che le unità fossero italiane.

Alla conferma che le unità erano tedesche, alle 14:27 il fuoco fu ripreso: una delle unità fu affondata e le altre quattro si gettarono in costa all’altezza di Populonia.

Tali movimenti e azioni furono puntualmente riferiti a Piombino e, verso mezzogiorno, si sparse in città la voce che i tedeschi erano sbarcati e procedevano a disarmare i soldati che incontravano e stavano occupando i moli e le fabbriche vicine.

Nel frattempo il conflitto Perni-Capuano raggiunse l’apice, quando il generale, alle 14:30, rimosse dal comando Capuano, sostituendolo con il capitano di corvetta Pellizzetti, invitandolo a recarsi al comando del 14° reggimento costiero, a Poggio di Follonica; il comandante Capuano rifiutò di ubbidire all’ordine, dichiarando che egli dipendeva dalla Marina e che solo da questa poteva essere rimosso dal comando.

Alle 17 giunsero altre tre unità tedesche della 70ª VP Flotille (VP 7017,7018 e 7019),(7*) che dovevano avere sostenuto già combattimenti, perché avevano a bordo cinque morti. Alle 18 giunsero diverse MFP.

La pressione della popolazione costrinse Perni a incontrare il comandante tedesco, che sostenne, ipocritamente, che le sue unità dovevano rifornirsi di combustibile e che entro le 21 avrebbero lasciato il porto.

Gli furono concesse sei ore per rifornirsi e l’ultimatum di lasciare il porto entro mezzanotte.

Nel frattempo il battaglione carri, che si era portato a presidiare l’incrocio Osteria FiorentinaAurelia, impedendo l’accesso ai porti di Baratti e Piombino, ricevette l’ordine di portarsi in città.

Entro le 20 i carri erano schierati: la maggior parte nei pressi del porto.

La sera giunse in porto l’ultima unità tedesca, la R 185.(8*)

Intanto i tedeschi attuarono altre misure intese a portare a termine la conquista della città.

 

Le due torpediniere lasciarono l’ormeggio: una uscì dal porto e si mise a incrociare davanti allo stesso per tenere sotto tiro, dal mare, le batterie; l’altra si spostò nei pressi dell’imboccatura del porto.

A terra vi erano tre distinti reparti con circa 150 uomini. A bordo della nave erano rimasti circa 60 uomini, con poche armi. Il personale francese e olandese delle penische era stato sbarcato e sistemato in una trincea in testata del molo.

Alle 20:30 il generale Perni tenne una riunione nella quale furono date disposizioni per unificare il comando delle batterie, mettendole alle dipendenze di Bacherini, e fu dato l’ordine di aprire il fuoco sui tedeschi se provocati.

Sull’inizio della fase successiva, la vera e propria battaglia, le fonti non concordano. Sembra che, dopo le 21, pattuglie avanzate tedesche effettuarono un attacco con bombe a mano contro i carri armati.

Contemporaneamente il comandante Bacherini fu avvertito che sulle navi in porto avvenivano furtivi movimenti; egli dette ordine di accendere un riflettore per vedere che cosa stesse succedendo; quando il fascio di luce raggiunse il porto, una delle torpediniere aprì il fuoco e distrusse il proiettore.

Fu il segnale dell’inizio della battaglia alla quale presero parte tutte le batterie in grado di farlo e buona parte dei carri che erano collegati fra loro via radio. Il fuoco italiano fu intenso e accurato.

La battaglia terminò attorno alle tre del mattino dell’11, con la completa sconfitta dei tedeschi, che persero la torpediniera T.A.11, i due dragamine/mercantili (carichi di armi, munizioni e viveri), sette unità da sbarco, affondate; la torpediniera T.A.9 fu gravemente danneggiata, con incendio a bordo, e le rimanenti unità da sbarco furono danneggiate.

Le unità superstiti si allontanarono, alcune con incendi a bordo. Circa duecento uomini di quelli sbarcati con l’intento di danneggiare gli stabilimenti ILVA furono fatti prigionieri. Andarono perse anche le quattro VAS italiane.

A parte il personale delle VAS, le perdite italiane ammontarono a qualche morto (fra cui 2 marinai della batteria Falcone) e una decina di feriti, fra cui qualche altro marinaio.

Non è noto con precisione il numero delle perdite tedesche, ma certo fu elevato (da 108 a 110 morti); molti furono i feriti che raggiunsero l’ospedale; alcuni tedeschi rimasti a terra fuggirono attraverso Pratovecchio rifugiandosi nelle difese non terminate.

Alcuni si arresero alle prime luci dell’alba; anche il numero dei prigionieri varia a seconda della fonte (da 100 a 300); considerate le azioni successive, si ritiene che essi fossero da 150 a 250.

I moli del porto presentavano uno spettacolo terrificante, coperti com’erano di rottami frammisti a morti e feriti, con le unità semi affondate che ancora bruciavano.

Nel frattempo la situazione sul resto della costa era precipitata. Per accordi intercorsi fra i comandi italiani e tedeschi, Livorno, Cecina, Grosseto e altri capisaldi erano stati ceduti ai tedeschi.

 

Il generale De Vecchi ordinò di rilasciare i prigionieri catturati a Piombino, ciò  sconcertò comandi e popolazione;
comunque, tutti furono rilasciati e gli furono anche riconsegnate le armi.

I primi prigionieri raggiunsero le unità superstiti che, il 10 alle 11:35, lasciarono il porto dirigendo per Livorno, ove giunsero fra le 16 e le 18.

Una parte dei prigionieri, circa 100, furono imbarcati sul Cappellini, il traghetto Piombino-Portoferraio, e trasferiti anch’essi a Livorno.

La situazione di Piombino era divenuta insostenibile; tutta la costa era ormai in mano tedesca; il generale De Vecchi si era accordato per cedere le armi e faceva pressione in tale senso; le batterie avevano quasi terminato il munizionamento per i cannoni; continuava ad affluire personale sbandato che intendeva raggiungere l’Elba, la Corsica e la Sardegna. Il generale Perni diede l’ordine di danneggiare i carri e di abbandonarli; il personale del presidio si allontanò, seguito dal personale delle batterie.

All’alba del 12, alcune R-boote tedesche iniziarono a bombardare la città, e i tedeschi inviarono un ultimatum.

Il comandante Capuano, resosi conto dell’impossibilità e dell’inutilità del proseguimento della lotta, diede ordine di lasciar liberi i marinai; consegnò le armi in dotazione al comitato cittadino e, la mattina del 12, rimasto solo, consegnò il Comando Marina ai tedeschi e si allontanò, in treno, indisturbato.

La mattina del 13 la città fu occupata da un reparto tedesco della contraerea. Terminava così la battaglia di Piombino.

La lotta si spostava ora verso l’Isola d’Elba.

A Portoferraio si trovavano ormai oltre venti unità da guerra italiane, provenienti dalla Liguria, dall’alta Toscana e dalla Corsica, che avevano preso parte anche alla battaglia di Piombino.

Nell’isola, ben fortificata, erano di stanza circa diecimila uomini. Comandante delle forze dell’isola e delle vicine isole minori era il generale di brigata Achille Gilardi; il Comando Marina era retto dal capitano di vascello Michelangelo Fedeli.

All’alba del 10 le batterie dell’isola poste nella parte orientale respinsero un tentativo di sbarco tedesco.

La presenza delle navi, con a bordo il duca d’Aosta e l’ammiraglio Nomis di Pollone, consentì una difesa coordinata e attiva condotta, principalmente, dalle navi e dalle batterie della Marina.

Il 13 mattina un violento fuoco incrociato respinse un attacco di bombardieri tedeschi. Fu attuato un difficoltoso collegamento radio con Brindisi, dove si trovava ora il Comando Supremo italiano, e furono richiesti immediati aiuti el’invio di rinforzi. Invece venne l’ordine alle navi di procedere verso Palermo, in pignolesca applicazione delle clausole d’armistizio, come richiesto espressamente, in particolare, dai britannici.

L’allontanamento delle navi diede un forte colpo al morale già non saldo della difesa. D’altra parte la caduta di Piombino aveva già fatto venir meno uno dei due pilastri sui quali si basava il controllo dello stretto fra l’Italia e l’Isola d’Elba.

Il 15 mattina parlamentari tedeschi giunsero a Portoferraio da Piombino illustrando la situazione e chiedendo la resa dell’isola sotto la minaccia di pesanti bombardamenti aerei.

 

Sostenuti anche in questo caso dal Comitato di Resistenza e dalla popolazione, i militari italiani tennero duro.

Il 16, poco prima di mezzogiorno, sette bombardieri tedeschi lanciarono grappoli di bombe sul comando, sulle caserme e sulla città, causando più di cento morti e 150 feriti,(9]) la maggior parte dei quali fra la popolazione civile.

L’intera rete di comunicazioni fra le batterie andò distrutta e la batteria antiaerea Grotte (quattro pezzi da 76) ebbe sette morti e otto feriti.

Assieme alle bombe furono lanciati volantini che ingiungevano alle truppe di arrendersi. Ora la popolazione, spaventata dai danni subiti e sotto la minaccia di altri bombardamenti, spinse per l’accettazione delle condizioni di resa che, tra l’altro, imponevano di consegnare navi, armi e infrastrutture senza causare altri danni.

Alle 16 il generale Gilardi accettò le condizioni di resa.

Il 17, traghetti e motozattere tedesche, cariche di truppe, scortate dall’incrociatore ausiliario Magdeburg, da due torpediniere e da dragamine veloci, sbarcarono soldati a Portoferraio, Porto Longone, Marina di Campo, Golfo del Procchio e Golfo di Lacona, mentre; un battaglione paracadutisti del generale Student, circa 500 uomini,
effettuò un lancio a Schiopparello e San Giovanni, nel centro dell’isola.

Nello stesso giorno le batterie della Marina e le navi militari presenti in porto, perché non in grado di allontanarsi, furono consegnate ai tedeschi.

Data la presenza di molte migliaia di militari italiani, i tedeschi mantennero in carica i comandanti italiani con il compito di smaltire questa massa di uomini.

Il 27 settembre cambiò il comandante tedesco, e gli ufficiali italiani furono arrestati e inviati in campo di concentramento in Germania assieme a buona parte dei marinai.

Stranamente nessuno si ricordò del comandante Fedeli che, in borghese, assieme alla sua ordinanza, raggiunse con un’imbarcazione Piombino e procedette in treno per Arezzo, dove rimase fino alla liberazione della città.

FONTE BOLLETTINO D’ARCHIVIO DELL’UFFICIO STORICO DELLA MARINA MILITARE

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(1*)  A bordo delle VAS era anche il capitano di corvetta Eugenio Henke, capo distato maggiore della Difesa dall’agosto 1972 al febbraio 1975, primo ufficiale di Marina a rivestire tale incarico.

(2*) I dati relativi alle unità presenti in porto sono diversi a seconda delle fonti. Secondo la documentazione dell’Ufficio Storico della Marina Militare (USMM) erano presenti le motozattere (marinefährprähme) tedesche 433, 514, 587, 590, 608 e 614.

Secondo il rapporto del capitano dei carabinieri Serni la flottiglia tedesca era composta da 2 cacciasommergibili, 2 motovedette e 7 motocisterne. Le navi italiane erano: 3 motopescherecci armati (AS 54 Lido, AS 65 Teti II, AS 74 Nuova S. Rita), due navi traghetto (quello per l’Elba, piroscafo Cappellini, quello per Bastia, piroscafo F 85 Capitano Sauro), due piccole unità onerarie e un motoscafo destinati alla Corsica e alla Sardegna.

(3*) Il convoglio era al comando del comandante Albrand, imbarcato sulla T.A. 11.
Secondo l’USMM le navi tedesche erano due torpediniere (T.A. 9, ex FR 42, ex Bombarde, e T.A. 11, ex F.R. 43, ex L’Iphigénie, armate con 2 cannoni da 100, 2 da 37 e 4 mitragliere da 20) e un grosso dragamine/piroscafo ex francese, il Carbet, di 5170 t). Dalla relazione tedesca emerge chiaramente che Albrand aveva l’ordine di impossessarsi della città di
Piombino.

(4*) T.A. = Torpedoboote Ausland, torpediniera straniera.
(5*) MFP = Marine Fahr Prahm, moto zattera navale; in genere con una lettera
successiva (e.g. A, ossia, tipo A).
(6*) FL = Flussraumflotille, Flottiglia dragamine fluviali.

(7*) VP = Vorpostenboote, navi pattuglia per la difesa costiera. Operavano alle dipendenze della 10ª Flottiglia, ribattezzata 10ª Sicherungflotille (Flottiglia di difesa costiera) nell’ottobre 1943.
(8*) R = Raumboote, Motodragamine. Si trattava di unità di 40-50 m, armate con mitragliere da 40 o 47 e con cannoni da 76 o 88. Operavano alle dipendenze della 6ª Flottiglia.
(9*) Probabilmente molti di più, perché in città erano presenti molti soldati di
passaggio, i cui corpi furono scaraventati in mare e mai ritrovati. Si calcola che i morti fra il
solo personale militare ammontassero a circa 200. Fra gli altri cadde il comandante del
MAS 531, sottotenente di vascello Giorgio Rizzo di Grado e di Premuda, secondogenito
di Luigi Rizzo, alla cui memoria fu concessa la Medaglia d’Argento al Valore Militare.