Legambiente: Chiudere termovalorizzatore ma risolvere deficit impianti per umido e indifferenziato
Livorno, 27 marzo 2024 – Legambiente: Chiudere termovalorizzatore ma risolvere deficit impianti per umido e indifferenziato
Il direttivo del circolo Legambiente di Livorno ritiene che il termovalorizzatore del Picchianti vada chiuso, nei tempi e nei modi opportuni ma comunque prima possibile, in considerazione dell’attuale fermata dell’impianto e dei costi del necessario revamping per rimetterlo in funzione con la qualifica di recupero energetico persa alcuni mesi fa.
Rimane aperto il problema di una gestione corretta e sostenibile dei rifiuti (urbani e speciali) prodotti dal nostro territorio, che al momento è privo sia di impianti di riciclo che di impianti di recupero energetico.
I nodi da risolvere sono di carattere ambientale, sociale (salvaguardia occupazionale) ed economico (conti aziendali): come Legambiente la nostra attenzione deve focalizzarsi sugli aspetti ambientali, che il circolo intende promuovere presso l’amministrazione e i singoli cittadini, per quanto di loro competenza.
La gerarchia europea per la corretta gestione dei rifiuti offre una direzione chiara da intraprendere e percorrere nella sua interezza, seguendo il relativo ordine di priorità: prevenzione, riuso, riciclo, altro recupero (per esempio recupero di energia), smaltimento in sicurezza. Il tutto considerando il principio di prossimità: più i rifiuti vengono trattati vicino al luogo di produzione e più il loro impatto ambientale sarà ridotto.
Deve essere stimolata dunque la minimizzazione e il recupero dei rifiuti (sia urbani che speciali, cioè prodotti dalle aziende che sono cinque volte gli urbani ma di cui nessuno parla), promuovendo azioni virtuose di riuso, di scambio, di upcycling e di acquisti sfusi.
Per favorire il riciclo, un altro tema fondamentale e costantemente ignorato nel dibattito pubblico è quello della qualità della raccolta differenziata, che purtroppo è in costante peggioramento, (per gli imballaggi la media regionale è del 30%). Questo è un problema sia ambientale che economico, perché quel 30% di errori di conferimento deve essere poi smaltito con un ulteriore costo per i cittadini, anche di quelli che la raccolta differenziata l’hanno fatta bene.
Per il recupero di materia ed energia dalle frazioni umide, in un’ottica di Ato Costa preoccupa il deficit impiantistico di digestione anaerobica (ma sono in fase di progettazione e costruzione diversi impianti, tra cui quello proposto da Asa e Aamps che finalmente dovrebbe permetterci di interrompere la nostra esportazione di rifiuti organici a 400 km di distanza, in provincia di Bergamo).
Al contempo, per il recupero di materia ed energia delle frazioni secche, è utile minimizzare il ricorso a impianti di trattamento meccanico-biologico (Tmb), in quanto l’analisi dei dati Ispra mostra che in media solo l’1% dei materiali in uscita da detti impianti viene poi avviato a riciclo; ne risulta che il Tmb rappresenta in massima parte una tappa intermedia verso il recupero energetico o lo smaltimento.
Preoccupa dunque l’attuale deficit di impianti di recupero energetico evoluti, che consentano di valorizzare i rifiuti non riciclabili meccanicamente.