Moby Prince, Berti: “Mafia e armi. Subito una nuova commissione d’inchiesta”
“Ogni giorno che passa si addensano di nuovo ombre oscure sulla vicenda della strage del Moby Prince; che il 10 aprile 1991 vide 140 persone morire nell’incendio di un traghetto al largo della costa di Livorno.
Il prezioso lavoro di qualche cronista di inchiesta e soprattutto la determinazione dei familiari delle vittime di quell’orrenda strage stanno portando a galla elementi sempre nuovi e raccapriccianti che devono essere indagati nelle sedi opportune.
L’ultimo in ordine di tempo è quello di un testimone pronto a giurare che a bordo del traghetto fosse presente un’ingente quantità di esplosivo appartenente alla Mafia.
La procura di Livorno titolare dell’indagine, a suo tempo non ha ritenuto necessario acquisire questa testimonianza ma, anche alla luce delle numerose lacune emerse in questi anni nella ricostruzione fatta dagli inquirenti su quanto accaduto al Moby Prince, oggi non è possibile fare finta di nulla.
La verità non può aspettare i tempi biblici della politica.
Ecco perché ritengo sia necessario accelerare sin da subito la costituzione di una seconda commissione parlamentare d’inchiesta, questa volta da affidare alla Camera dei Deputati, per portare avanti il lavoro svolto tra il 2015 e il 2017 dalla commissione presieduta dal senatore Silvio Lai.
Questa seconda commissione dovrà coordinarsi anche con la commissione parlamentare Antimafia.”.
Così Francesco Berti, deputato del Movimento 5 Stelle che ha depositato una proposta di legge per la costituzione di una commissione d’inchiesta sulla strage del Moby Prince del 10 aprile 1991.
“Il possibile coinvolgimento della Mafia – aggiunge Berti – non è il solo punto oscuro che merita di essere approfondito.
Al contrario. La possibilità che il disastro sia in qualche modo connesso ai traffici di armi in corso tra Iraq, Somalia e Italia all’inizio degli anni Novanta, al termine della guerra del Golfo è un’ipotesi che deve essere indagata in profondità. È nostro dovere tentare in ogni modo di rendere giustizia alle 140 persone decedute, a chi è sopravvissuto, e a chi, a distanza di quasi 30 anni, non ha smesso di farsi domande e cercare risposte”.