Cronaca 25 Gennaio 2018

Moby Prince, la relazione finale della Commissione di Inchiesta

Durante quelle ore cruciali, prima e dopo il ritrovamento del traghetto, la Capitaneria apparve del tutto incapace di coordinare l’azione di soccorso verso il Moby Prince“.

Si ritengono inadeguate e lacunose le indagini compiute dalle autorità giudiziarie sulla gestione armatoriale precedente e successiva all’evento

La Commissione Parlamentare di Inchiesta sulle cause del disastro del traghetto Moby Prince, istituita a luglio 2015, ha concluso i suoi lavori. Alleghiamo qui la relazione finale, così come è stata resa pubblica sul sito istituzionale del Senato.

Relazione finale Moby Prince

Ecco alcuni dei punti salienti di un documento di cui si consiglia comunque la lettura per almeno le prime 60 pagine.

Nella notte tra il 10 e l’11 aprile 1991:

 

Dalla premessa emerge che

  • Non c’era la nebbia;
  • Il comando della petroliera non pose in essere condotte pienamente doverose;
  • La Commissione ha appurato che la sagoma della nave investitrice risultava inconfondibile dal ponte della petroliera e fu percepita con precisione;
  • Dalla Capitaneria di porto di Livorno non partirono ordini precisi per chiarire l’entità e la dinamica dell’evento e per ricercare la seconda imbarcazione, quasi non si sapesse cosa fare;
  • Ci fu un’assenza del coordinamento nei soccorsi fino alle ore 5 del mattino dell’11 aprile. L’incidente avvenne poco
    prima delle 22.30 del 10 aprile;

Dagli esiti emerge che

  • Dopo il mayday seguì una serie di comunicazioni radio concitate dalle quali non emersero una iniziativa di coordinamento da parte della Capitaneria di porto e tanto meno la consapevolezza che si dovesse ricercare la seconda nave coinvolta;
  • dalla petroliera venivano date informazioni tendenti ad attirare i soccorsi su di sé senza segnalare l’eventuale esigenza di soccorso del secondo natante;
  • emergono testimonianze, riprese dalla pubblicistica nel corso degli anni, circa la presenza di un elicottero in volo sulla zona del disastro;
  • La visibilità si ridusse per il fumo dell’incendio, non per la nebbia;
  • Ogni tipo di soccorso, almeno per la fase iniziale, protrattasi per circa due ore dal momento della collisione, fu esclusivamente orientato in favore della petroliera Agip Abruzzo;
  • Alle 23.45.33  uno degli ormeggiatori comunica alla Capitaneria in modo concitato che la nave è il Moby Prince. Gli ormeggiatori in un primo momento sollecitarono un intervento dei soccorsi per la presenza di persone ancora vive a bordo del traghetto, come avrebbe detto loro anche il Bertrand. Dopo diversi minuti di silenzio, alle 23.58, gli stessi ormeggiatori comunicarono invece che secondo il naufrago erano tutti morti.
  • Nonostante il traghetto fosse stato individuato, fosse stato tratto in salvo il naufrago e nonostante questi avesse affermato che c’erano persone ancora vive a bordo, non si registra un coinvolgimento adeguato di mezzi di soccorso sul Moby Prince, quasi che la petroliera rimanesse l’unica priorità del cuore delle operazioni. La Commissione può anzi affermare, sulla base degli approfondimenti compiuti, che, se anche fosse stato impossibile domare il fuoco sul Moby Prince o salirci a bordo, anche la sola presenza all’esterno di mezzi impegnati a spegnere l’incendio sarebbe stata utile per incoraggiare chi era all’interno ad uscire a poppa e a segnalare la propria presenza, magari gettandosi in mare.
  • Verso le 3 del mattino, rientrato in porto e sbarcato dalla motovedetta, l’ammiraglio Albanese rilascio ai media dichiarazioni perentorie su fiamme che investivano l’intera coperta del traghetto, in forma di corona circolare, sulla possibilità che qualche sopravvissuto potesse ancora trovare rifugio in qualche ambiente del Moby e soprattutto sulla nebbia fittissima, sulla visibilità ridottissima e sulla posizione regolare della petroliera. Questa assertività, mostrata poche ore dopo la collisione, stride con dati facilmente riscontrabili già allora (l’assenza di nebbia) e finì per dare un quadro di elementi conoscitivi non preciso: posizione della petroliera, dinamica dell’incendio e visibilità in rada.
  • Più nello specifico, non fu avviata alcuna attività finalizzata alla ricerca del secondo mezzo coinvolto nell’incidente e neppure nessun tentativo di mettersi in contatto radio con i mezzi navali di recente usciti dal porto. Inoltre, anche quando, con incredibile ritardo, ci si imbattè nel traghetto incendiato, non risultano tentativi di spengere l’incendio a bordo e tanto meno di prestare soccorso ai passeggeri del traghetto.
  • Il contesto emerso, determinato forse dalla convinzione che la nave investitrice fosse una bettolina e non una nave passeggeri, desta sconcerto anche in considerazione del fatto che diversi elementi, fra i quali il posizionamento dei corpi nel traghetto, evidenzia che il comando della nave avesse predisposto un vero e proprio piano di emergenza con la raccolta dei passeggeri nel salone De Luxe in attesa che arrivassero i soccorsi.
  • Commissione condivide unanimemente: la Capitaneria di porto di Livorno, in tutte le fasi dei soccorsi, non ha valutato l’effettiva gravità della situazione, sia perché non sono stati raccolti e resi disponibili dati utili all’identificazione del traghetto, sia per l’incapacità, manifesta nella sala operativa nell’immediatezza dei fatti e dagli altri attori anche in mare nelle ore successive, di valutare la situazione, così determinando un’impostazione delle operazioni di soccorso unicamente volta verso la petroliera e comunque non efficace.
  • Durante quelle ore cruciali, prima e dopo il ritrovamento del traghetto, la Capitaneria apparve del tutto incapace di coordinare l’azione di soccorso verso il Moby Prince.
  • I consulenti medici legali hanno stabilito che non è scientificamente possibile sostenere che tutte le persone a bordo del Moby Prince siano morte entro la prima mezz’ora. Ciò innanzitutto per lo stato di ritrovamento dei corpi che evidenzia differenze sostanziali fra reperti rinvenuti carbonizzati e molti altri integri, anche se in alcuni casi bruniti.
  • La verosimile ricostruzione dei momenti successivi all’impatto mostrerebbe un’attività organizzata da parte dell’equipaggio del Moby Prince. L’equipaggio o quantomeno una parte di esso avrebbe potuto mettersi in salvo, ma non abbandonò la nave e cercò di porre in salvo tutti i passeggeri. Ci sono poi elementi che mostrerebbero come plausibile il fatto, cui si è già fatto riferimento, che la Moby procedesse a retromarcia, dopo l’impatto, in moto rotatorio intorno alla petroliera, con il possibile doppio scopo di restare visibile ai soccorritori, che tuttavia non la individuano sino alla mezzanotte, e di tenere il fuoco a prua lontano dalla zona centrale dove i passeggeri e l’equipaggio si erano rifugiati. In questo senso sono da segnalare le tracce di bruciature presenti solo sulla parte di prua del fumaiolo del Moby Prince, come dimostra l’immagine seguente.
  • Si ritiene si possa escludere che la collisione sia avvenuta a causa della velocità del traghetto combinata con condizioni climatiche non ottimali.
  • La tesi di un’esplosione a bordo del traghetto, che sarebbe avvenuta prima della collisione e che avrebbe impedito al comandante di seguire la rotta prestabilita per Olbia…..L’esito degli approfondimenti della Commissione porta a condividere l’ipotesi di una esplosione da gas, suffragata dalle fotografie del locale nel quale è avvenuta dalle quali sono rilevabili gli effetti e le deformazioni dovute all’esplosione. L’impossibilità di rianalizzare i tamponi, «lavati» dai periti all’epoca delle indagini, influisce sulla valutazione in termini limitati. Resta il fatto che non è possibile situare temporalmente la deflagrazione. L’ipotesi che sia avvenuta dopo l’impatto è legata alla deduzione logica di un possibile collegamento all’incendio di idrocarburi e alla propagazione di gas dopo l’impatto.
  • In relazione al timone del traghetto è accertato l’avvenuto tentativo di manometterlo, in particolare, in plancia si è tentato di far girare una leva per far passare la timoneria da manuale – con il timone manovrato cioè direttamente dal timoniere – ad automatica, mettendo cioè in collegamento il timone con un pilota automatico ed attivando una pompa che fa la stessa operazione compiuta dal timoniere con la ruota.
  • La Commissione all’esito dei lavori svolti non può escludere che si sia verificata un’avaria al timone del traghetto.
  • Inoltre la Commissione ha acquisito documenti che attestano operazioni di bunkeraggio notturno.
  • In sostanza sulla posizione dell’Agip Abruzzo sono state fornite plurime indicazioni diverse e quasi sempre incompatibili l’una con l’altra.
  • Le valutazioni dei consulenti di questa Commissione che individuano con sufficiente margine di certezza le seguenti coordinate di ancoraggio dell’Agip Abruzzo: 43.29.8 N – 10.15.6 E, collocando l’ancoraggio della suddetta nave in zona interdetta alla navigazione e in divieto di ancoraggio.
  • La Commissione considera la dichiarazione di provenienza della petroliera Agip Abruzzo, fornita da SNAM e agli atti del processo, non confermata da altra valida documentazione e contrastante con i dati forniti al sistema di controllo della navigazione del Lloyd List Intelligence e con le stesse dichiarazioni di uno degli ufficiali della petroliera.
  • E’ possibile ipotizzare che una nube di vapore, la nube «biancastra», si sia sprigionata dalla petroliera a seguito di lavorazioni condotte quel giorno o di un principio di incendio. Questa ipotesi, accennata nella prima fase dell’inchiesta, giustificherebbe un’eventuale riduzione della visibilità nell’area dell’impatto. Si tratta di un’ipotesi che la Commissione non può escludere e che si ritiene possa avere una possibile attinenza con le cause della collisione e anche con il comportamento del personale della petroliera.
  • Si segnala che l’inchiesta sommaria, attraverso la quale venne cristallizzato l’impianto del procedimento di primo grado, fu affidata, come del resto previsto dal codice della navigazione, alla Capitaneria di porto, quindi a un ente direttamente coinvolto nell’evento.
  • La perizia medico–legale affidata al collegio guidato dal professor Bargagna all’indomani del disastro apparve finalizzata più alla identificazione dei corpi che alla individuazione delle cause della morte e alla determinazione dei tempi di sopravvivenza. La Commissione a questo proposito ha convocato in audizione due membri del collegio peritale, i professori Giusiani e Bassi Luciani, che hanno confermato sostanzialmente le pressioni ricevute perché fossero restituiti in tempi rapidi i corpi delle vittime alle famiglie.
  • La Commissione è giunta alla conclusione che le modalità d’indagine abbiano condizionato inoltre in maniera determinante la possibilità di fare luce su alcune ipotesi a partire dalla adeguatezza dei soccorsi. Appare evidente
    un’inadeguata valutazione delle cause di morte. Alla luce dei dati evidenti non c’erano le condizioni, e oggi questo è confermato, per affermare con certezza che le vittime erano tutte perite o colpite da incapacitazione entro trenta minuti. Al contrario le evidenze mediche, quelle di contesto ambientale, la stessa struttura costruttiva della nave confermano la possibilità di aree di sopravvivenza nel quale sono state trovate vittime che non morirono certamente in trenta minuti.
  • Nonostante la determinazione della posizione della petroliera in zona vietata, il 18 giugno 1991 a Genova venne siglato un accordo armatoriale tra NAVARMA, Unione Mediterranea di Sicurtà, The Standard Steamship Owners Protection and Indemnity Association Ltd (Bermuda) da una parte e, dall’altra, ENI-SNAM-AGIP, Padana Assicurazioni SPA e Assuranceforeningen Skuld. Nell’accordo – finora non conosciuto – si diede atto che in data 10 aprile 1991 si era verificato una collisione, nella rada del porto di Livorno tra il Moby Prince elaAgip Abruzzo e si stabilì quanto segue: a) NAVARMA si impegnava a liquidare tutte le richieste di risarcimento dei passeggeri e dei membri dell’equipaggio, senza invocare la limitazione del debito dell’armatore di cui all’articolo 275 del codice dellanavigazionee senza richiedere indennizzo nei confronti di ENI- NAMAGIP/PadanaAssicurazioni/ Assuranceforeningen Skuld; le parti convenivano inoltre di stare congiuntamente in giudizio, qualora le famiglie dei deceduti avessero avanzato richieste nei confronti di ENI-SNAM-AGIP/Padana Assicurazioni/ Assuranceforeningen Skuld, ottenendo, laddovepossibile, che i loro preposti o dipendenti fossero estromessi da eventuali procedimenti; b) NAVARMA si impegnava a costituire il fondo di limitazione per il Moby Prince e rinunciare a qualsiasi pretesa in surrogazione dei diritti delle famiglie dei deceduti nei confronti di tale fondo; c) NAVARMA rinunciava a qualsiasi richiesta di indennizzo nei confronti di ENI-SNAM-AGIP/Padana Assicurazioni/ AssuranceforeningenSkuld in merito a eventi inquinanti, ai danni inferti allo scafo del Moby Prince, alle conseguenze economiche o ai costi di soccorso e recupero;
    d) ENI-SNAM-AGIP/Padana Assicurazioni/ Assuranceforeningen Skuld rinunciavano a qualunque pretesa nei confronti di NAVARMA, mentre ENI-SNAM-AGIP/Assuranceforeningen Skuld garantivano le richieste di risarcimento per i costi di decontaminazione e i danni ambientali senza coinvolgere NAVARMA, fatto salvo il diritto di avviare azioni risarcitorie per le somme versate nei confronti del fondo di limitazione.
  • Si sottolinea come la sottoscrizione di questi accordi avvenne a soli due mesi dalla collisione in presenza di una posizione non definita della Agip Abruzzo e senza attendere l’esito delle indagini della magistratura sulle possibili responsabilità.
  • In sintesi, in solo due mesi, gli armatori e le loro compagnie assicuratrici si accordarono per non attribuirsi reciproche responsabilità, non approfondendo eventuali condizioni operative o motivazioni dell’incidente attribuibili ad uno dei due natanti.
  • Sin dall’ottobre 1990 il Moby Prince era stato assicurato con un’estensione della polizza ai «rischi guerra». In audizione  l’armatore Vincenzo Onorato ha precisato che tale estensione era costante e riferita a tutto il naviglio anche di altre compagnie che operavano nel Mediterraneo. In realtà, secondo i consulenti della Commissione, tale estensione non era giustificata nel tratto dell’alto Tirreno e nella ordinaria rotta del Moby Prince e delle altre navi della NAVARMA.
  • Risulta alla Commissione che nel giugno 1991 per il Moby Dream, altra imbarcazione della flotta NAVARMA, sarebbe stato presentato un esposto per un presunto attentato incendiario. Lo stesso Onorato ha confermato, invero, della presenza di personale di sicurezza israeliano imbarcato sui traghetti della compagnia NAVARMA nei mesi successivi alla tragedia.
  • Appare anomalo anche il fatto che a fronte di una valorizzazione del traghetto Moby Prince – a bilancio NAVARMA 1991 – per circa 7 miliardi di lire, il traghetto stesso fosse stato assicurato per 20 miliardi di lire. Altresì anomalo appare che l’assicurazione abbia liquidato i 20 miliardi per la perdita totale del traghetto nel febbraio del 1992, quando erano ancora in corso le indagini preliminari, e Achille Onorato, in quanto armatore di NAVARMA, era ancora indagato. Si ritiene che il fatto sia stato favorito dall’accordo armatoriale del giugno 1991 ENI-SNAMAGIP/PadanaAssicurazioni/ Assuranceforeningen Skuld.
  • Concludendo sul punto, si sottolinea che si ritengono inadeguate e lacunose le indagini compiute dalle autorità
    giudiziarie sulla gestione armatoriale precedente e successiva all’evento.
  • La Commissione non concorda con le risultanze cui è pervenuta l’Autorità giudiziaria in esito ai vari procedimenti che hanno riguardato la tragedia, in particolare dissente sulla riconducibilità della tragedia alla presenza della nebbia e alla condotta colposa, in termini di imprudenza e negligenza, avuta dal comando del traghetto Moby Prince.
  • La Commissione ritiene altresì che l’attività di indagine della procura di Livorno, sottesa al processo di primo grado, sia stata carente e condizionata da diversi fattori esterni.
  • In tale contesto è al di fuori di ogni logica investigativa e non giustificabile da ragioni tecniche l’avere disposto il dissequestro della petroliera Agip Abruzzo dopo soli sette mesi dall’impatto, quando ancora doveva definirsi la fase processuale di primo grado. Tale atto, unito alla difficoltà di verifica del carico, può aver impedito ogni ulteriore approfondimento sulle cause della collisione, sulla presenza di alterazioni alle altre cisterne, come poi verificate sulla cisterna 6, o sulla tipologia e propagazione dell’incendio in relazione al tipo di greggio o di raffinato trasportato dall’Agip Abruzzo.
  • Altrettanto censurabili appaiono le misure predisposte per garantire l’integrità del traghetto Moby Prince, una volta sequestrato, essendo emerso come fosse del tutto agevole per chiunque e per qualunque finalità, anche illecita, accedere a bordo e procedere ad una alterazione del corpo di reato.
  • La Commissione ritiene che non siano stati prestati i soccorsi dovuti al traghetto Moby Prince. L’analisi della loro organizzazione ha portato la Commissione a confermare un giudizio di mancato coordinamento e di sostanziale assenza di intervento nei confronti del traghetto Moby Prince. La normativa attribuiva alla Capitaneria di porto precise e ineludibili responsabilità nelle scelte e nella gestione dei soccorsi. Sin dai primi minuti la Capitaneria avrebbe dovuto valutare la gravità della situazione e decidere se le forze disponibili fossero sufficienti e attivarsi nella ricerca della seconda nave. Le informazioni disponibili anche solo dall’avvisatore marittimo e tra i piloti del porto potevano consentire alla Capitaneria di individuare nell’immediato il traghetto come l’ultima nave uscita e che non rispondeva agli appelli. Inoltre la Capitaneria, in termini di mezzi  e cultura della sicurezza, non era in condizioni di affrontare in maniera consona un tale evento, era priva di strumenti adeguati, come un radar, che invece sembra essere stato disponibile tra i piloti, ed era impreparata in conclusione ad un tale livello di complessità di soccorso.
  • Durante le ore cruciali la Capitaneria apparve del tutto incapace di coordinare un’azione di soccorso e non venne dato un ordine né una priorità di azione attraverso i canali radio riservati all’emergenza.
  • Alla luce dei dati acquisiti, i tragici effetti sulla vita di almeno una parte delle persone a bordo sono stati determinati dalla sostanziale abdicazione delle autorità responsabili rispetto ad una efficace funzione di soccorso pubblico in mare. Questi elementi, in parte già noti nel percorso di indagine e in quello giudiziario, non hanno costituito elemento di reato perché è stata assunta come valida la valutazione sui tempi brevi di incapacitazione o morte, vista l’impossibilità di provare un nesso di causalità fra condotte ed eventi.
  • La Commissione ritiene inoltre che il procedimento penale concernente il tentativo di manomissione delle condizioni del timone effettuato da un dipendente della NAVARMA (Ciro Di Lauro) non abbia contribuito
    a chiarire le motivazioni sottese al gesto compiuto, né abbia valutato eventuali responsabilità connesse.
  • La Commissione ritiene infine che il comportamento di ENI sia connotato di forte opacità…..Secondo qualificati dati acquisiti dalla Commissione e prima citati, l’Agip Abruzzo sembra non provenire dunque da Sidi El Kedir, ma da Genova. Questo può portare a valutare come non corretta l’informazione circa la dimensione e la tipologia del carico, che poteva dunque essere differente al dichiarato. Così come rende possibile l’ipotesi che la cisterna trovata aperta dopo l’incidente potesse contenere del materiale in corso di trasferimento su una bettolina.
  • Vale la pena richiamare che NAVARMA conosceva la posizione dell’Agip Abruzzo e su questo non ha sollevato obiezioni, mentre ENI poteva valutare come possibile che la responsabilità dell’incidente andasse poi attribuita al Moby Prince. L’accordo invece pose una pietra tombale su qualunque ipotesi conflittuale sulle responsabilità tra l’ENI, che si assunse i costi dei danni della petroliera e dell’inquinamento, e NAVARMA che si assunse invece i costi del risarcimento delle vittime del Moby Prince. L’accordo consentì di avviare da subito il risarcimento delle famiglie delle vittime, di ottenere la rinuncia ad azioni di rivalsa e di richiedere il risarcimento del valore assicurato di 20 miliardi per i danni al Moby Prince. L’ENI potè far chiudere le indagini sulle attività a bordo della petroliera, sul suo carico e ottenerne il dissequestro dopo soli sette mesi, avviandola alla demolizione.
  • I documenti ora passeranno ai tribunali di Livorno e Roma per le valutazioni del caso.

Gianmaria Frati