Oggi Maurizio Grasso vi farà conoscere “Il tunnel” di Abraham Yehoshua
“Non è mai troppo tardi per leggere un buon libro”
“Non è mai troppo tardi per leggere un buon libro”
Rubrica di recensioni, a cura dello scrittore e traduttore Maurizio Grasso.
Non sono sempre necessariamente recensioni di libri appena usciti, ma di “buoni libri”.
Oggi Maurizio Grasso vi farà conoscere “Il tunnel” di Abraham Yehoshua
Il tunnel (2018) è il penultimo romanzo pubblicato dal grande scrittore israeliano Abraham Yehoshua, scomparso pochi mesi fa. È il libro di un ottuagenario e ne riflette i crucci, le riflessioni, la saggezza. Ci parla di un male esiziale per la vecchiaia, ossia la labilità di quanto per essa è più prezioso: la memoria. Il tutto inserito nel contesto abituale delle opere di Yehoshua: le onnipresenti dinamiche dei legami familiari, l’eterna incomprensione israelo-palestinese.
Zvi Luria, ingegnere stradale in pensione, ex capo divisione dell’azienda di Stato “Percorsi di Israele”, è colpito dai primi sintomi di demenza senile. Dimentica i nomi delle persone, o cose importanti che si era ripromesso di ricordare e riferire a qualcuno. Si perde per strada e costringe i familiari a prendere precauzioni perché non gli accada nulla di male. Purtroppo la malattia galoppa, lo costringe, prima a inseguirla, poi a privilegiare punti di vista inconsueti nella sua esistenza.
Finché ha lavorato, Zvi ha sempre separato rigorosamente il professionale dal privato. Dimodoché, anche di suoi strettissimi collaboratori, con cui ha passato ore e ore ogni giorno, non sa quasi nulla. Ma l’amnesia incipiente è pronta a rubargli per sempre il suo passato e con esso la sua stessa identità. Così Zvi inizia a dare peso agli uomini che sono dietro i vecchi colleghi, alla loro storia. Lo stesso fa con tutte le altre persone con cui entra in contatto. Si è perso troppe cose importanti della vita e, ora che sente il cappio stringersi attorno alla coscienza, tenta di recuperare parte del tempo perduto.
Per una vita Zvi Luria non ha cercato risposte: ora riempie la gente di domande. Vuole sapere, sapere, sapere. Per lui anche dettagli apparentemente insignificanti assumono enorme valore. Sente sbocciare in sé una nuova sensibilità, ingenua, quasi infantile. Verso la bellezza della natura che troppo spesso ha guardato con occhi disattenti, verso i sentimenti ripiegati, gelosamente protetti dietro il riserbo delle persone.
Prima che la malattia lo avvolga del tutto nella sua insidiosa cappa di smemoratezza, lasciandolo in un’oscurità priva di significato, Zvi compie un atto sconsiderato. Senza informare i familiari (se lo sapessero, chiamerebbero la polizia), l’ingegnere in pensione si sottopone a una prova estrema. Parte da Tel Aviv di notte, con la sua auto che non può più guidare (gli hanno ritirato la patente). Raccatta in giro condiscendenti autisti: deve ritrovare un tunnel nel deserto del Negev. È l’ultimo che ha progettato, soltanto pochi mesi prima, come assistente volontario del figlio di un vecchio collega. Non si è limitato a progettarlo, ne ha perorato la necessità in una Commissione contro molti pareri contrari, forte soltanto del suo passato prestigio.
Il tunnel è dunque qualcosa di materiale nella storia narrata, ma anche di palesemente metaforico. Il suo ingresso promette a uno come Zvi una via senza uscita; una volta che lo si sarà imboccato, diversamente da quelli che progettava quando era in servizio, non si potrà più tornare alla luce del sole.
Il tunnel affronta in modo attento, estremamente delicato temi da sempre cari a Yehoshua. Le profonde, inesprimibili ragioni che puntellano un rapporto di sangue o d’amore. L’insensato conflitto tra israeliani e palestinesi, popoli tanto vicini ma che non si trovano, come due sordociechi. (Ben Gurion sosteneva che i beduini fossero ebrei che avevano dimenticato di esserlo!)
In questo volume l’eterno “trasformista” Yehoshua, il “Faulkner di Israele” non cerca più forme eterodosse di scrittura. È chiaro che sente di non dover dimostrare più niente né a se stesso né tanto meno agli altri. Insegue il mero bisogno di interpretare i mutamenti inesorabili che percepisce in sé, oppure nel silenzio dignitoso e pudico dei suoi coetanei. La narrazione della vicenda di Zvi Luria è estremamente piana, fin troppo, penserà un lettore assiduo dello scrittore di Gerusalemme. È fatta di molti dialoghi e del minimo necessario di riflessioni in terza persona. È un racconto nelle cui svolte improvvise, nei cui sbocchi inattesi, senza che l’autore quasi lo voglia, si avverte la mano del grande artefice di storie.
Yehoshua è stato da sempre un attivista del movimento israeliano per la pace. Per le sue idee si è fatto nemici tanto in patria quanto fra gli ebrei della diaspora. Ad esempio, propugnava che i valichi di frontiera fossero aperti e che i palestinesi potessero circolare liberamente in Israele, per lavorare o per altri motivi pacifici. Per lui era primo seme per far sbocciare una tregua fertile ed edificante, un “cessate il fuoco” non soltanto militare ma soprattutto culturale. Ma è stato criticato anche dalla comunità ebraica americana quando ha affermato che una vita ebraica autentica era possibile soltanto nello Stato ebraico. Per lui, gli ebrei che vivevano altrove si limitavano a “giocare con il Giudaismo”. L’Ebraismo della diaspora è masturbazione”, aveva dichiarato provocatoriamente al Jerusalem Post, sollevando un inevitabile vespaio di critiche all’estero.
Abraham Yehoshua è uno di quei rari autori la cui statura sospinge un lettore, nel corso del tempo, a voler esplorare l’intera sua opera.