Cronaca 26 Gennaio 2022

Posizionate le pietre di inciampo per Ada e Benito Attal, madre e figlio deportati livornesi ad Auschwitz

Livorno 26 gennaio 2022

Sono state posate oggi pomeriggio due pietre di inciampo dedicate a Ada e Benito Attal, nostri concittadini madre e figlio; arrestati a causa di una delazione e deportati nei campi di concentramento.

La contabilità della morte dice che furono centinaia gli ebrei livornesi che non tornarono più dalla Germania.

Secondo i recenti studi di Catia Sonetti oltre trecento persone scomparvero nei campi di sterminio e altre decine i civili livornesi furono deportati, molti dei quali uccisi in detenzione per essersi opposti con un gesto, una parola alla disumanità dei carnefici.

La storia di Ada e Benito Attal

A pochi passi da via San Francesco, sorgevano l’antico Tempio considerato “il più bello d’Europa” andato distrutto nel bombardamento del 28 maggio 1943.

Tanti ebrei abitavano in questa zona, dove si svolgeva la vita lavorativa, familiare e religiosa.

Tra queste famiglie ricordiamo i Misul, che abitavano in via Chiarini di fronte alle Scuole Vespucci, e la famiglia Beniacar in via Cassuto.

Ada abitava in via San Francesco insieme alle sorelle Irma e Renata, allo zio Carlo e al padre Davide.

Ada è zia di Edi Bueno testimone in questi anni nella nostra città della persecuzione e della deportazione nel campo di concentramento di Auschwitz dei suoi familiari.

La famiglia Bueno Attal vive in centro a Livorno tra via della Coroncina, nei pressi di piazza Cavallotti, via Grande allora via Vittorio Emanule, e via san Francesco.

Il nonno di Edi, Davide è venditore ambulante. La famiglia è numerosa e la sorella di Ada, Dina Bona, madre di Edi, sposata con Mario Bueno, che ha un
negozio in via del Giglio e un banco di merceria al mercato, sostiene in quegli anni i genitori, le sorelle e il nipotino di dieci anni, Benito.

 

Durante la guerra le famiglie Attal e Bueno sfollano a Marlia in provincia di Lucca.

Qui verranno arrestati e poi deportati la madre, il fratello, il nonno Davide gli zii e i cugini di Edi.

Solo Edi e il fratello Luciano si salvano: Il padre Mario riesce a salvarli dalla deportazione, nascondendoli dentro un piccola stanza, per poi scappare subito dopo. I tre si rincontreranno molto tempo dopo.

 

Ada e Benito non seguono la famiglia a Marlia. In quegli anni Ada cresce da sola suo figlio, e lo affida all’orfanatrofio israelitico che ha sede in via Paoli 36 a Livorno.

L’istituto della comunità ebraica sostiene i bambini in difficoltà, perché figli di famiglie povere, o di genitori separati o di ragazze madri.

Nel 1943 sono 22 i bambini dell’istituto che hanno dai sette ai diciassette anni.

Tra il gennaio del 1942 e il febbraio del 43 l’orfanatrofio viene trasferito a Sassetta, nella Villa Biasci affittata dalla comunità ebraica per far sfollare i bambini e portarli in un luogo che si sperava essere più tranquillo e sicuro.

La vita dei bambini trascorreva in quei giorni tra l’orfanatrofio, i sentieri nei
boschi d’intorno, sempre accompagnati dalla direttrice della scuola, la signora Olga Coen e dalla maestra Palmira Fenzi.

Nei ricordi dei bambini affiorano questi momenti della vita quotidiana, il
momento del pranzo intorno alla tavola dove si ritrovavano tutti insieme, dividendo il poco cibo che ci si poteva procurare.

Alcune foto ritraggono questi momenti e nelle foto sono ritratti i due
fratellini Luciana e Ugo Bassano oggi testimoni di quei giorni, grazie ai quali sono giunti a noi le poche notizie e i ricordi di Benito.

Il 30 novembre 1943, con l’ordine di polizia n°5, il ministro dell’Interno Guido Buffarini Guidi, disponeva l’arresto e l’internamento di tutti gli ebrei residenti in Italia, nonché l’immediato sequestro dei loro beni mobili e immobili.

Il 21 dicembre del 1943 furono sequestrati i beni immobili e mobili della maestra e dei bambini dell’orfanatrofio.

I ragazzi, almeno quelli più piccoli, non si resero conto di ciò che stava accadendo intorno a loro.

La sera del 3 aprile 1944 qualcuno bussò al primo piano di Villa Biasci: “Davo le spalle alla porta – racconta Ugo Bassano – “e la direttrice mi disse di aprire.

Non mi ricordo se erano carabinieri o repubblichini, ma erano italiani”.

La direttrice disse ai bambini di prepararsi e di vestirsi il più possibile; i bambini e la maestra furono caricati su un camion e condotti alla Stazione di Vada: destinazione campo di concentramento di Fossoli.

Con loro c’erano anche due repubblichini della milizia che avevano il compito di accompagnare sul treno i bambini fino a Fossoli; Rolando Calamai e Pilade Barsotti furono gentili nei confronti dei bambini.

Il convoglio ferroviario aveva percorso poche centinaia di metri dalla Stazione di Vada, quando in cielo apparve un aereo.

Una bomba colpì la locomotiva, ferendo gravemente il macchinista e il frenatore.

Un altro aereo mitragliò il treno; i bambini scesero dal treno e si gettarono nei fossi e nei campi intorno alla linea ferroviaria.

Immediatamente arrivò Don Vellutini sacerdote di Vada, che radunò tutto il gruppo per portarlo in paese; i bambini vennero accolti dalle famiglie di contadini della zona e qui passarono la notte.

La popolazione fu solidale pur essendo consapevole del rischio che correva aiutando ebrei.

Targa posta nella stazione di Vada nel 2005

Il giorno seguente Don Vellutini si attivò per far portare i bambini a Livorno.

Il viaggio avvenne in camion, i ragazzi furono trattenuti ad Ardenza, nella Scuola Giosué Carducci.

Venne disposto che alcuni dei ragazzi fossero riconsegnati alle famiglie, in quanto figli di matrimoni misti.

Luciana e Ugo Bassano furono consegnati allo zio paterno; Ines Cecchi e Giuseppe Sitri scapparono in bicicletta; gli altri rimasero a scuola con la direttrice, nell’angosciante attesa di conoscere la loro destinazione.

Trascorse così una settimana, mentre veniva vagliata la possibilità di trasportare i ragazzi a Fossoli.

Mentre i ragazzi erano alle scuole Carducci, Benito Attal e sua madre Ada furono arrestati e condotti nel campo di sterminio di Auschwitz, dove morirono.

Secondo la testimonianza di Ugo e Luciana Bassano, Ada si era recata alle scuole Carducci per chiedere la restituzione del figlio e in quella occasione furono arrestati.

Deportati a Fossoli, partirono per Auschwitz il 16 maggio 1943, Benito fu ucciso all’arrivo il 23 maggio 1943.

Il convoglio era il numero 10, lo stesso su cui fu deportata Frida Misul.

Ecco la testimonianza dell’arrivo dal Diario di Frida:

“[…] Subito ci furono aperti i vagoni e fummo obbligati a scendere alla svelta. Ci fecero depositare tutto quello che avevamo con noi, e a suon di bastone ci fecero mettere in fila per cinque.

Intanto le famiglie si stringevano ancora di più al seno le loro creature per non essere divisi.

C’incamminammo così verso il Comando quando ad un certo momento vedemmo molti tedeschi uniti in atteggiamento di inquisitori, armati di mitra e di grosse buste e donne tedesche che tenevano al guinzaglio dei grossi cani pronti a saltarci addosso.

Da una parte erano ammonticchiati dei cadaveri […] Con gli animi sconvolti ci incamminammo verso il comando tedesco”

Dei bambini dell’orfanatrofio israelitico solo Benito fu deportato. Lo ricordiamo attraverso questa foto che lo ritrae con i suoi compagni dell’orfanatrofio a Sassetta, e attraverso le parole di Ugo Bassano.

Benito Attal al centro della foto

Ugo ricorda che Benito era un bambino taciturno, le sofferenze e i traumi della guerra e delle persecuzioni l’avevano profondamente segnato.

“A dieci anni Benito era infelice», ricorda Ugo.

Sempre dalla testimonianza di Ugo sappiamo che la mamma Ada era stata avvertita del pericolo che correva andando a prendere Benito a scuola e che lei avesse risposto: «Ma lui è mio figlio, dove va lui vado io».

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