Recensioni – Oggi Maurizio Grasso vi farà conoscere “Caro Pier Paolo” di Dacia Maraini
“Non è mai troppo tardi per leggere un buon libro”
“Non è mai troppo tardi per leggere un buon libro”
Rubrica di recensioni, a cura dello scrittore e traduttore Maurizio Grasso.
Non sono sempre necessariamente recensioni di libri appena usciti, ma di “buoni libri”.
Oggi Maurizio Grasso vi farà conoscere “Caro Pier Paolo” di Dacia Maraini
Lo scorso anno, per il centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini, è uscito Caro Pier Paolo. È una preziosa testimonianza di Dacia Maraini sulla sua amicizia con uno dei più originali e controversi intellettuali del Novecento italiano. Un uomo che ha voluto riscrivere, in modo sorprendente, talvolta incondivisibile, concetti come quelli di libertà, di amore, di giustizia, di convivenza civile, di società.
Il volume è una raccolta di lettere indirizzate al poeta e regista friulano come fosse ancora vivo. La Maraini confessa che più volte aveva respinto le sollecitazioni di editori a scrivere un memoriale sul suo rapporto con Pasolini. Si giustificava rispondendo che tanto, troppo era stato scritto su di lui. Aveva paura di veder svanire i ricordi comuni, peggio: di privarli per sempre, rendendoli pubblici, della loro magia e intimità.
Ma un sogno la convince a intraprendere questo “carteggio affettivo”. Una notte sente un passo sulla sua terrazza di Roma, le pare di riconoscerlo. Sale di sopra e vede il suo amico, redivivo, che le dice di sentirsi pronto a riprendere il lavoro. Ci sono anche altre ombre, altre presenze: i tecnici che accompagnavano sempre Pasolini in tutti i suoi film. Dicono a Dacia: «Lo convinca lei che non può tornare a lavorare, è morto!» All’improvviso, il fantasma si dissolve, lasciando al suo posto un piccolo geco.
Questo sogno decide Dacia Maraini a iniziare un laborioso, emotivamente intenso percorso a ritroso nella memoria. Pier Paolo non potrà più scomparire se lei gli scriverà, se lo chiamerà in causa. In qualche modo lo fermerà, lo inchioderà ai loro ricordi comuni, ai loro contrasti. C’erano stati, ma si erano sempre risolti in un confronto aperto e leale, mai in uno scontro. Potrà finalmente parlargli senza timore che svanisca come in quel sogno.
La Maraini ci restituisce di Pasolini l’immagine in parte sconosciuta di un uomo autentico, spontaneo e al tempo stesso enigmatico. Attinge ai ricordi personali, ma non lesina citazioni dalle poesie dell’amico, vero testamento di questo grande intellettuale. Non esita a puntare il dito anche sulle contraddizioni evidenti del compagno di tanti viaggi e di tante pagine di vita. Con sensibilità e intuito tutti femminili, gli rammenta le sue stesse parole. Lui scriveva “per vendetta contro di sé” e offriva “un corpo di martire agli indifferenti”. Il destino di quella vita corsara che l’amico in vari modi si autoinflisse, Dacia lo interpreta come una scelta obbligata. Da che cosa? Dalla percezione della sua irregolarità, dall’assenza di un suo posto nel mondo, dal rifiuto che la società gli urlava ogni giorno, con insulti, denunce, incomprensione.
Queste lettere delineano una topografia, non solo del rapporto di amicizia tra Dacia e Pier Paolo, ma della vita stessa di Pasolini. Di questa vita la Maraini, più giovane di quattordici anni, ha conosciuto bene l’ultimo decennio, fino alla tragica fine avvenuta nel 1975.
Non c’è un argomento che Dacia lasci indietro: prima o poi spunta una lettera che lo affronta. La scrittrice siculo-fiorentina scandaglia i temi più intimi, talora scabrosi, con indicibile tenerezza. Rilegge tanto le sue conversazioni con l’amico quanto i loro silenzi. Pone domande che resteranno senza risposta su ciò che restava nascosto nei recessi più intimi dell’anima di quell’uomo. Un essere ombroso e al tempo stesso dolcissimo, che solo i suoi versi avevano forse avuto il potere di stanare.
Qualche domanda è retorica. Dacia Maraini ha una sua opinione su tante risposte che Pier Paolo le darebbe. La “meravigliosa arte della provocazione” è il rovescio della medaglia di un’emarginazione profonda, quella che lui chiamava “solitudine del feto”.
Sono tante le metafore che nel tempo Pier Paolo Pasolini evocherà per rappresentare la propria infelice condizione. «Mi sento libero di una libertà che mi ha massacrato», scrive. Oppure: «La vita è un’occasione sola e io l’ho perduta tutta», confessa nella Poesia in forma di rosa. In un altro testo si definisce isolato come un condannato a morte. Altrove ancora usa un ossimoro tanto duro quanto emblematico parlando della sua come di una “vita morta”. C’è insomma un lugubre, sommerso mondo di simboli nel vissuto pasoliniano che l’autrice vorrebbe a tutti i costi decifrare; è un compito difficile, a volte impossibile.
Anche il contrasto tra il polemista pubblico, che fa della sfida un’arte, che suscita indignazione, e l’amico mite, paziente, rispettoso che è nella vita privata, fa parte della personalità dell’uomo Pasolini. Lei conosceva i suoi desideri improvvisi di isolarsi ma anche la sua indole gioiosa, gentile, non violenta, che ben poco traspare dal personaggio pubblico.
Il poeta, il regista Pasolini si fece cantore di un’Utopia, di un mondo ancestrale. Qualcosa di impossibile da riproporre se non immaginando un regresso dell’umanità fino a una povertà e a un’essenzialità primigenie. La povertà intesa non come miseria, bensì come sobrietà, assenza di sovrastrutture. Per questo motivo, per Dacia, Pasolini ce l’ha in modo particolare con la borghesia. Perché la sua ascesa al potere ha determinato il definitivo tramonto di quel mondo che lui ha mitizzato e di cui prova nostalgia.
La strada di aperta sincerità imboccata dalla Maraini non può esimerla dall’affrontare i punti nodali del disaccordo tra i due amici. Il femminismo, l’aborto, in breve l’universo della donna. Dacia scava in quel pozzo senza fondo da cui pure, soprattutto nelle poesie, Pier Paolo Pasolini mandava grida. In quelle grida c’erano barbagli di una sua dolorosa verità. Per esempio, l’idea che il sesso con una donna fosse per lui una sorta di sacrilegio, di incesto. D’altra parte, nei versi dedicati alla madre, con tutto l’infinito amore che provava per lei, accusa il suo grembo di essere stato troppo accogliente.
Questa impotenza ad amare le donne di un amore passionale, tutt’al più filiale è una trappola e Pier Paolo ne è consapevole. Dacia ricorda i legami con Elsa Morante e poi con Maria Callas (che di lui dopo il film Medea si innamorò realmente). In fondo al cuore e alla coscienza Pasolini considera il suo Eros “colpevole”, ignominioso. Ogni avventura con i “ragazzi di vita” gli lascia in bocca l’amaro di un peccato tanto più oscuro in quanto irredimibile.
Sono ricorrenti i riferimenti alla sua fine tragica, mai chiarita. Dacia rammenta la sua serie di “Io so i nomi… ma non ho le prove” pubblicata dal Corriere della Sera pochi mesi prima della fine. È convinta che si sia troppo esposto, che sia stato vittima di un attentato. Un agguato organizzato con la copertura di un Pino Pelosi qualunque, disposto per denaro o per paura a fare da capro espiatorio.
C’è anche moltissimo di Dacia in questo suo Pier Paolo. Un libro acuto, affettuoso, che fornisce molti spunti di riflessione su una figura destinata a essere dibattuta in eterno.