Recensioni – Oggi Maurizio Grasso vi farà conoscere “Figli della favola” di Fernando Aramburu
Livorno 30 maggio 2025 Recensioni – Oggi Maurizio Grasso vi farà conoscere “Figli della favola” di Fernando Aramburu
“Non è mai troppo tardi per leggere un buon libro”
Rubrica di recensioni, a cura dello scrittore e traduttore Maurizio Grasso.
Non sono sempre necessariamente recensioni di libri appena usciti, ma di “buoni libri”.
Oggi Maurizio Grasso vi farà conoscere “Figli della favola” di Fernando Aramburu
Figli della favola è il penultimo romanzo di Fernando Aramburu (2023). Un libro strano, che inizia in tono farsesco e finisce in modo drammatico. L’autore ha cercato di tradurre nel testo una precisa intenzione, tracciare il timelapse di un’illusione giovanile. Ma i “tempi” del cambio di registro lo hanno tradito: questa storia presa un po’ sotto gamba disorienta il lettore e, malgrado un finale forte, nel complesso non convince. Anche La grande guerra di Monicelli nasce con le scaramucce comiche tra Gassman e Sordi e finisce in tragedia, eppure là tutto appare credibile.
Il titolo spiega tutto. Qui il mondo di Patria è come sfumato, anzi sarebbe assente, non fosse per due ragazzi che hanno chiesto di entrare nell’ETA, purtroppo per loro nel momento sbagliato, quello della fine della lotta armata e della clandestinità. Sono frutti tardivi, formatisi alle soglie dell’inverno. Resteranno acerbi sull’albero e il vento li farà cadere senza che siano maturati. Sono imbevuti della mitologia di Euskal Herria libera, di cui per loro l’organizzazione paramilitare, nel modo più assoluto, è lo strumento. Sono idealisti tenaci ma, sul piano pratico, della perspicacia, del senso della realtà, sprovveduti fin quasi all’idiozia.
La trama ha origine ad Albi, in Occitania. I figli della favola sono Asier e Joseba. Al fanatico Asier piace avere il piglio del leader, del pensatore, mentre il pacioso, grasso Joseba sembra un tantino più scettico, coi piedi per terra. Contrariamente ad Asier, lui ha lasciato una Karmele incinta e, quando non pensa alla “causa”, pensa a lei e al figlio sangue del suo sangue. Dal canto suo, Asier prova un istintivo sospetto verso le donne. I due si completano, il loro sodalizio durerà, ma non tanto quanto avrebbero voluto.
Portati grazie a un “collegamento” in Francia e tenuti là in attesa di future necessità, i due vivono nascosti in un’azienda avicola gestita da una coppia di “amici della causa” che però masticano appena un po’ di castigliano, mentre i due ragazzi non sanno una parola di francese.
La loro attesa si protrae per mesi e Fernando Aramburu ha tutto l’agio di parodiare il loro fervore nazionalista, spingendolo fino al ridicolo, facendone gli Stanlio e Ollio della causa basca. Asier e Joseba, completamente sfaccendati, a parte qualche corvè chiesta dai loro ospiti, si tengono attivi con ginnastica, passeggiate e improbabili esercitazioni. Non possedendo armi, si attrezzano per il tiro col fucile con scope di saggina mirando a bersagli immaginari. Il massimo della loro audacia è rapire una gallina dal pollaio fingendo che sia un imprenditore sfruttatore e improvvisando un processo sommario nel bosco; peccato che nessuno dei due abbia il coraggio di tirarle il collo.
L’attesa di questi due imbranati non durerà in eterno. È il 2011. La proprietaria della fattoria comunica loro che l’ETA ha chiuso con la lotta armata, così ha detto la TV, e fa loro capire che sarebbe il caso togliessero il disturbo. Per i due è crollato un mondo. Inizia la parte seria del romanzo. Ad Asier e Joseba non resta che tornarsene a casa con le pive nel sacco, senza una sola ekintza da poter raccontare ad amici e parenti al paese. Emerge il vuoto intellettuale di due vite ancora informi, che soltanto la causa patria aveva saputo accendere come fiaccole. E ora, che fare? Compiono piccoli furti per sopravvivere, l’ultimo alla donna che li ha ospitati, dopodiché fuggono.
Arriva una decisione inverosimile e al tempo stesso inevitabile: dal momento che i capi dell’ETA hanno tradito il loro popolo, loro due continueranno la lotta armata, benché non sappiano ancora come. Un paio di furti in supermercati sono il battesimo del fuoco della loro impresa donchisciottesca. Il ridicolo vira improvvisamente nel tragicomico e subito dopo nel patetico.
Inizia un’odissea che lentamente, fallimento dopo fallimento, dalla Francia alla terra dei loro avi, avrà la meglio sulla tenacia irriducibile, in un certo senso eroica della loro idea. È questa tenacia spinta oltre la verosimiglianza e il senso della realtà a nobilitare retrospettivamente tutti i loro colpi a vuoto. Asier e Joseba avranno ciascuno l’epilogo che era scritto nel loro destino, chi preso per l’orecchio dalla realtà, chi votatosi all’autodissoluzione. Altro che «svegliare il popolo basco dal suo letargo»!
È nella parte centrale della storia che Aramburu ha perso la sua partita. Ha spinto troppo oltre la narrazione satirica dei suoi personaggi, non li ha presi sul serio tempestivamente, come loro invece esigevano e, quando ha iniziato a farlo, ormai era tardi.
Da giovane Aramburu fondò con altri amici il CLOC, un gruppo artistico di avanguardia. È stato il suo primo contributo alla cultura basca. I successivi e più importanti saranno dello scrittore. A ventisei anni andrà a insegnare spagnolo in Germania. Non è stato un militante politico in senso stretto, tanto meno un guerrigliero.
La vicenda dei Figli della favola ha una sola lettura: è la cronistoria e insieme l’allegoria di un fallimento annunciato visto da un basco che non ha mai condiviso la “linea”. In Patria ci ha mostrato la tempra di un popolo orgoglioso, mentre ne I rondoni ha virato in tutt’altra direzione, raccontando la storia di un collasso non ideologico e nazionale, bensì esistenziale e individuale. Figli della favola si colloca nell’immaginaria intersezione delle due linee di tendenza che questi romanzi tracciano con la loro trama.