Recensioni – Oggi Maurizio Grasso vi farà conoscere “Il compratore di anime morte” di Stefano D’Arrigo
Livorno 13 giugno 2025 Recensioni – Oggi Maurizio Grasso vi farà conoscere “Il compratore di anime morte” di Stefano D’Arrigo
“Non è mai troppo tardi per leggere un buon libro”
Rubrica di recensioni, a cura dello scrittore e traduttore Maurizio Grasso.
Non sono sempre necessariamente recensioni di libri appena usciti, ma di “buoni libri”.
Oggi Maurizio Grasso vi farà conoscere “Il compratore di anime morte” di Stefano D’Arrigo
Stefano D’Arrigo è noto quasi esclusivamente per Horcynus Orca: un romanzo monstre, intraducibile, scritto in una lingua con forti innesti dialettali. La sua stesura gli prese quasi un ventennio e, quando Mondadori lo pubblicò nel 1975 dopo uno studiato battage pubblicitario, il libro diventò un caso letterario e riscosse uno straordinario successo sia di pubblico che di critica. La sua fama è stata però di breve durata e, al di là dei meriti che si possono o meno riconoscere allo scrittore D’Arrigo, non lo ha sospinto tra i “classici” del secondo Novecento italiano.
Il compratore di anime morte è una narrazione di tutt’altro genere, del tutto esente dagli sperimentalismi della principale fatica dell’autore siciliano. Innanzitutto è un’opera postuma. Il dattiloscritto, comprensivo delle correzioni dell’autore e considerato dagli esperti come “licenziato”, è stato ritrovato solo recentemente fra i materiali donati dalla moglie dello scrittore al Gabinetto Viesseux e dato alle stampe pochi mesi fa.
Come si intuisce dal titolo, si tratta di una trasposizione (in terre borboniche) del celebre romanzo di Gogol’, benché l’incipit della storia richiami piuttosto a una commedia eduardiana sul genere di Non ti pago, perché parla di lotto e di un uomo che, in virtù della sua condizione di “figlio della Madonna” (trovatello), deve giocoforza avere la facoltà di sognare i numeri buoni, sicché tutti lo corteggiano per attingere a questa sua presunta “dote naturale”.
La storia ha appunto inizio a Napoli. Il “figlio della madonna” Cirillo Docore è divenuto principe ereditario per un equivoco.
Il vero principe, Ettore di Margellina, un ludopatico che si è mangiato quasi tutto il patrimonio al gioco, inclusa metà del suo palazzo, lo ha legalmente adottato al solo scopo di godere in esclusiva del presunto “dono” del giovane.
Cirillo ha trascorso in orfanotrofio i suoi primi trent’anni, prima come “interno” in attesa di adozione poi, quando era troppo grande per sperare, come impiegato. Ha sempre desiderato avere una famiglia; ora gliene capita una addirittura nobile. Presto si rende conto che l’adozione del principe è interessata, ma lui vuole comunque sdebitarsi.
Nel frattempo ha scoperto, nel suo ruolo di scrivano, il vulnus delle “anime morte”, ossia dei contadini dei feudi che, pur defunti, nell’ultimo censimento risultano ancora vivi. Con la promessa di farlo ricco, ma senza specificare come, convince il padre adottivo a dotarlo di carrozza, cocchiere e del suo ultimo gruzzolo di scudi, dopodiché si imbarca per la sua impresa fraudolenta in Sicilia.
Siamo alla vigilia dell’impresa dei Mille. L’aristocrazia latifondiaria è ignorante, retrograda, moralmente corrotta, screditata presso il popolo e indebitata fino al collo. Queste le ragioni per cui Garibaldi entrò nelle difese borboniche dell’isola come un coltello nel burro col vento popolare che soffiava in poppa.
Cirillo Docore è una via di mezzo tra i due personaggi gogoliani forse più famosi, insieme a Taras Bul’ba: il Čičikov de Le anime morte (il nome Cirillo vi allude in tutta evidenza) e il Chlestakov de L’ispettore generale. Come Čičikov, Docore coltiva l’impostura della compravendita delle anime morte; come Chlestakov, spaccia il proprio recente titolo nobiliare come biglietto da visita per aprire tutte le porte che contano a Palermo e dintorni, dove nessuno ha mai sentito parlare del principe di Margellina, ma tutti temono che in lui si nasconda in incognito un messo del re Francesco II.
Naturalmente, come sempre il diavolo fa le pentole ma non i coperchi, sicché il nostro eroe affronterà non poche disavventure nella sua “truffa a fin di bene”. L’arrivo di Garibaldi alle porte di Palermo fa precipitare gli eventi e il finale scelto da D’Arrigo resta aperto a diversi scioglimenti.
Per l’ambientazione e lo stile, Il compratore di anime morte ricorda I Viceré, ma con un elemento satirico e grottesco di stampo landolfiano (D’Arrigo venerava lo scrittore di Pico, peraltro mirabile traduttore de I racconti di Pietroburgo), quasi del tutto assente nel monumentale affresco storico di De Roberto, dove prevalgono invece disprezzo e sarcasmo verso l’agonizzante, marcia nobiltà provinciale.
Senza essere un capolavoro, Il compratore di anime morte resta una lettura amena e coinvolgente, mostrando un lato abbastanza insospettabile nell’autore che aveva scosso il mondo letterario con Horcynus Orca.