Libri, recensioni 30 Marzo 2025

Recensioni – Oggi Maurizio Grasso vi farà conoscere “Il Polacco” di J. M. Coetzee

Recensioni - Oggi Maurizio Grasso vi farà conoscere "Il Polacco" di J. M. CoetzeeLivorno 30 marzo 2025 – “Non è mai troppo tardi per leggere un buon libro”

Rubrica di recensioni, a cura dello scrittore e traduttore Maurizio Grasso.

Non sono sempre necessariamente recensioni di libri appena usciti, ma di “buoni libri”.

Oggi Maurizio Grasso vi farà conoscere “Il Polacco” di J. M. Coetzee

Il Polacco, oltre a essere l’ultimo libro dell’ormai ottuagenario premio Nobel J. M. Coetzee, è soprattutto un prezioso gioiello.

L’ultima fase della bibliografia dello scrittore sudafricano è un po’ come la scatola di cioccolatini di Forrest Gump: non sai mai se pescherai il romanzo postmodernista o una storia piana e scorrevole. La novella Il Polacco si presenta nella forma inconsueta di un cantiere di scrittura. Elenchi di paragrafi numerati, appunti sparsi sui caratteri dei personaggi che, tuttavia, resteranno in questo stato.

Non è la prima volta che Coetzee simula in un suo libro un semilavorato letterario e poi svolge la sua storia senza lacune. Ha scoperto presto questo espediente e vi si è affezionato al punto di riproporlo più di una volta. Del resto, l’autore afrikaner ci ha abituato a stranezze, provocazioni e falsificazioni: ha fatto del mistero sulla sua biografia una specie, non dico di vezzo, piuttosto di elegante artificio.

Il Polacco della storia, ambientata tra Barcellona e Maiorca, è il settantenne pianista Witold Walczykiewicz, invitato per un concerto con musiche del suo più celebre connazionale da un circolo di riccastri melomani catalani. «Il suo Chopin non è per niente romantico ma, al contrario, in qualche modo austero, Chopin come erede di Bach». È quindi una parziale delusione per chi si è fermato allo Chopin romantico di Arthur Rubinstein e di Claudio Arrau.

Ad accogliere il Polacco, a organizzare i suoi transfer tra aeroporto, hotel e auditorium, per una fortuita serie di circostanze, è una donna poco più che quarantenne che si chiama Beatriz. Già questo nome fa capire dove vuole andare a parare l’autore.

Beatriz ci viene presentata come «una persona intelligente, colta, preparata, una brava moglie e madre». Insomma una donna che, in pieno terzo millennio, vive ancora all’ombra dei successi presenti dell’uomo che ha sposato e vivrà di quelli futuri dei propri figli. La classica coppia altoborghese che ha trasformato il matrimonio in una questione di “sfere separate”. Ognuno è padrone nella propria e non mette bocca in quella dell’altro.

Il “Polacco” (troppe w e troppe z per chiamarlo col suo vero nome, osserva l’autore) ha l’aria di un poseur. Sembra l’incarnazione di quel luogo comune del pianista dalla folta zazzera canuta che sopravvive oleograficamente dall’epoca di Liszt. Somiglia vagamente a Max von Sydow. Non ritiene che la cosa più importante sia la felicità e soprattutto non gli piace essere chiamato “pianista”.

Ma è appunto questo il nocciolo della storia: andare oltre le sempre parziali, talvolta ingannevoli apparenze. C’è una prima impressione che una persona sconosciuta suscita in noi e c’è in essa un nucleo di verità che galleggia in un mare di lacune. Nell’arte di scoprire un personaggio come si “spizzano” le carte del poker, Coetzee si è guadagnato — con merito — la fama di maestro.

Dante poté coltivare il suo amore per Beatrice perché Beatrice Portinari era morta giovanissima senza che lui potesse mai rivolgerle la parola e senza che, dalla tomba, potesse protestare contro quel sentimento imperituro che, forse, sarebbe stato esasperante perfino per una fiorentina del XIII secolo. Eppure il Polacco vuole che Beatriz sia la sua Beatrice. Difatti già lo è, le confessa in una mail scritta chissà dove in giro per tournée. «Non sono un poeta. L’unica cosa che posso dire è che da quando ti ho incontrata la mia memoria è piena di te, dell’immagine di te».

Perché mai Beatriz, una donna sposata, una madre, dovrebbe farsi carico dei sogni senili di quest’uomo sconosciuto, con cui ha passato una serata in compagnia di altri? che per giunta ha le borse sotto gli occhi, la pelle della gola cascante, il dorso delle mani chiazzato? Non è certo lei la soluzione all’enigma della vita di questo vegliardo che ha l’aspetto di una maceria del passato, salvo quando si mette alla tastiera. E il fatto che la passione del suo matrimonio si sia prosciugata da anni non è una giustificazione sufficiente per alimentare quella del Polacco.

Coetzee punta la sua torcia a infrarossi nella caverna oscura di Beatriz alla ricerca minuziosa dei graffiti della sua psiche. Le assolute, perfino ovvie certezze di respingere le insistenti profferte d’amore del vecchio pianista scricchiolano via via che lei si inoltra in questo viaggio interiore, di sicuro non voluto ma ormai inevitabile. Che cosa può offrire a distanza un vecchio musicista innamorato di una donna tanto più giovane? In primo luogo, la poesia delle sue registrazioni chopiniane. Poi quella della sua ostinazione sentimentale, mentre lei contraccambia con un cumulo di riluttanza, persino di disgusto fisico: espressioni di un’istintiva, inerziale acquiescenza al luogo comune che trova tutto questo sconveniente, assurdo, incongruo. E anche molto patetico. Non ultimo, Beatriz trova innaturale amare senza aspettarsi di essere riamati. Decisamente non riesce a capire come ragioni quest’uomo che appartiene a un’altra generazione, a un’altra Europa.

In breve: Beatriz è il capovolgimento della Beatrice dantesca, una donna che rilegge quel mito in chiave moderna e non trova in esso niente di lusinghiero per lei. La moneta con cui ricambia l’amore di questo vecchio è soltanto, ammette tra sé, la compassione. Scoprirà a sue spese le frontiere di questa parola poco esplorata, troppo sbrigativamente affidata al cliché. Animata da questo sentimento a cui ha voluto concedere uno spazio senza per questo sconvolgere la sua vita, alla fine del romanzo farà qualcosa che mai avrebbe pensato fosse nelle sue corde.

Il Polacco è una straordinaria indagine, fisica e metafisica, condotta dal punto di vista di una donna, sulle diverse declinazioni che l’amore può conoscere secondo l’età, le culture nazionali, l’assenza di un lessico comune, l’educazione ricevuta, la condizione presente di un individuo. Sui malintesi, sugli incroci impossibili, su quelli fortuiti e inattesi. Quanti fattori possono influenzare un incontro, favorirlo o impedirlo, farlo sbocciare o appassire!

Coetzee ci conduce per mano, con calma e attraverso gli infiniti ghirigori cerebrali della sua Beatriz, al punto. Non c’è una sola specie di amore. Ce ne sono tante quante le combinazioni possibili della coppia che può nutrirlo, sia pure in modo asimmetrico, sia pure infelicemente. Un numero di combinazioni incalcolabile.

C’è tutto un filone di romanzi che hanno un pianista al centro della loro trama. Il pianista, opera autobiografica di Władysław Szpilman scritta nel 1946, uscita postuma mezzo secolo dopo e resa celebre dal film omonimo. Il soccombente (1985) di Thomas Bernhard. Gli inconsolabili (1995) dell’altro Nobel Kazuo Ishiguro. A tale filone si aggiunge, last but not least, Il Polacco di J. M. Coetzee, un breve testo che gli estimatori di questo autore non devono perdersi.

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