Recensioni – Oggi Maurizio Grasso vi farà conoscere “Le bugie del mare” di Kaho Nashiki
“Non è mai troppo tardi per leggere un buon libro”
Livorno 13 aprile 2023 – “Non è mai troppo tardi per leggere un buon libro”
Rubrica di recensioni, a cura dello scrittore e traduttore Maurizio Grasso.
Non sono sempre necessariamente recensioni di libri appena usciti, ma di “buoni libri”.
Oggi Maurizio Grasso vi farà conoscere “Le bugie del mare” di Kaho Nashiki
Kaho Nashiki è una scrittrice più che sessantenne, avara di pubblicazioni. Le bugie del mare è l’ultimo suo libro tradotto in italiano (Feltrinelli, 2021). È un libro delicato, intenso, essenziale nel senso più nobile del termine. Ci invita a volgere lo sguardo alle nostre radici, al passato, per fare un confronto col nostro presente. Unendo una linea immaginaria che li collega, ci si pone l’interrogativo: stiamo andando nella direzione giusta o piuttosto sbagliando strada?
Quando ci si approccia a un autore del Sol Levante, credo sia innanzitutto necessario avere contezza di una distanza, prima ancora che geografica, culturale. Una distanza che nessuna globalizzazione potrà mai azzerare, perché ha le sue scaturigini in un universo ancestrale, mitico e in gran parte inconscio. Non è facile sintonizzarsi con una mentalità così diversa dalla nostra. Nell’”Impero dei segni” tutto è preso estremamente sul serio e il semplice non è mai banale. Bisogna dunque iniziare dal rispetto.
Siamo più o meno a metà degli anni Trenta nel sud del Giappone. All’inizio, e per molte pagine, seguiamo le peripezie nell’isola (immaginaria) di Osojima del giovane Akino, un ricercatore dell’Università di Kyushu. Sembra di leggere la relazione di un naturalista, non fosse per l’io narrante, che parla al passato come in un memoriale e non al presente.
Osojima ha una singolare forma che ricorda un ippocampo. Il giovane è estremamente curioso per ragioni di studio e non. Ha bisogno di elaborare un gravissimo, plurimo e recente lutto. Il suo vecchio professore lo ha indirizzato a compiere un indagine sul campo in quell’isola alle estreme propaggini meridionali dell’Impero. Vi si parla un dialetto incomprensibile e i più non capiscono la lingua nazionale. Va in giro, conosce i pochi residenti dell’isola, li interroga, li mette al corrente delle sue ricerche. Si conquista la loro simpatia e la loro fiducia. Scopre la loro vita semplice, il culto degli antenati, il timore reverenziale per le divinità e gli spiriti della Natura. Sono elementi di un tutto armonioso che, grazie all’isolamento, scorre sempre uguale da decenni, forse da secoli.
Akino è una specie di piccolo Darwin giapponese. Benché la sua disciplina sia la geografia antropica, non c’è un aspetto della natura che non lo interessi e affascini. La botanica, la zoologia, l’orografia e la morfologia del territorio, persino l’architettura rurale e le leggende locali. È sorprendente, e al tempo stesso piacevole, sentirlo citare con i loro nomi scientifici o comuni specie endemiche, al più sconosciute in Occidente. Oppure scoprire insieme a lui le poetiche perifrasi con cui in Giappone si designano fenomeni naturali o fantastici: mostri marini, venti e altre singolarità atmosferiche.
È l’animismo radicato nella cultura e nella tradizione giapponesi già millenni prima che vi fosse introdotto il buddismo. È il regno dell’impermanenza. “Bugie del mare” è la locuzione familiare con cui nell’isola chiamano i leoni marini. Sono particolarmente socievoli con gli uomini e spesso seguono le barche dei pescatori. Li chiamano così perché a volte spuntano in mezzo al mare come miraggi. E così tutti i miraggi, castelli, muraglie e altri inganni degli occhi, sono chiamati come loro, bugie del mare.
L’esperienza del giovane si conclude dopo alcune settimane di soggiorno. Le persone conosciute nell’isola magica restano vivide nella sua memoria. La narrazione riprende mezzo secolo dopo. Tutti quelli che ricordava, chi prima chi dopo, per questioni di età, a causa della guerra, non ci sono più. Akino si è sposato e a ottant’anni ha figli adulti e nipoti. Della sua ricerca sull’isola non c’è traccia, perché la sua relazione era rimasta incompleta e alla fine non era più stata pubblicata.
Un giorno Akino legge su un giornale che hanno costruito un ponte. Un ponte che collega la grande isola di Kyushu con la piccola isola di Osojima. Avverte il bisogno di tornare, per vedere cosa è stato del luogo a cui sono legati ricordi per lui indelebili. Quando sente per telefono uno dei suoi figli e scopre che per lavoro si trova proprio a Osojima, non ha esitazioni e parte immediatamente. L’isola gli aveva dato tanto e lui non le aveva restituito niente: era il momento di fare qualcosa per Osojima.
L’arrivo è scioccante per il vecchio Akino. L’isola è stata violentata ed è quasi irriconoscibile. Più nessuna traccia delle caratteristiche casette a un piano e con due tetti, le sole presenti un tempo. L’albergo in cui alloggia col figlio è un palazzone di nove piani. La natura incontaminata di mezzo secolo prima, la flora, la fauna, tutto è stato impietosamente sventrato, fatto oggetto di scempio.
Osojima era un paradiso terrestre e ora è diventato un luogo uguale ad altri diecimila, assoggettato alla globalizzazione turistica. Il monte sacro dove anticamente si riuniva una congrega di monaci e dove c’era un tempio è stato trasformato in una cava per il cementificio. Era un santuario, secondo la tradizione vi dimoravano i Kami, le divinità locali e i numi tutelari cari alla religione shintoista. C’era anche altro. Osojima era stato un crocevia in cui avevano convissuto pacificamente lo sciamanesimo autoctono, il buddhismo esoterico e lo shintoismo.
Il vecchio geografo guiderà il figlio a scoprire le vestigia della Osojima di un tempo, gliene spiegherà il significato e l’origine storica, come avevano fatto con lui allora, lo incoraggerà a non distruggerli ma a valorizzarli.
Il viaggio di Akino non è stato inutile. Non ha solo contribuito a salvaguardare quel poco che era stato risparmiato dal cemento e dall’asfalto. Ha ricucito il rapporto con suo figlio, con cui avevano sempre parlato poco. Oltre alle sue conoscenze storiche, naturalistiche ed etnografiche sull’isola a forma di ippocampo, gli ha confidato qualcosa di più intimo e importante. Il lutto per la perdita dei genitori e della fidanzata suicida in pochi mesi, subito prima della spedizione nell’isola. Non ne aveva mai parlato a nessuno.
La confessione li cementa. Nel finale hanno un’opportunità unica: vedono insieme un miraggio, una bugia del mare. Padre e figlio possono toccare insieme la magia di quel posto, il genius loci che la frenesia per gli affari non ha potuto cancellare del tutto.
Le bugie del mare è un romanzo sulla nostalgia per ciò che era sacro ed è stato sacrificato sull’altare del cosiddetto sviluppo. Ma è anche un romanzo genuinamente ecologista, senza slogan, tanto più efficace in quanto fa leva sul silenzio inerme dei giusti davanti alla catastrofe. La lezione del testo è evidente: la perdita degli ambienti aborigeni, quando viene perpetrata non è mai recuperabile: è per sempre.