Libri, recensioni 13 Novembre 2025

Recensioni – Oggi Maurizio Grasso vi farà conoscere “L’ultimo shōgun” di Shiba Ryōtarō

Recensioni – Oggi Maurizio Grasso vi farà conoscere “L'ultimo shōgun" di Shiba RyōtarōLivorno 14 novembre 2025 Recensioni – Oggi Maurizio Grasso vi farà conoscere “L’ultimo shōgun” di Shiba Ryōtarō

“Non è mai troppo tardi per leggere un buon libro”

Rubrica di recensioni, a cura dello scrittore e traduttore Maurizio Grasso.

Non sono sempre necessariamente recensioni di libri appena usciti, ma di “buoni libri”.

Oggi Maurizio Grasso vi farà conoscere “L’ultimo shōgun” di Shiba Ryōtarō

Nei suoi romanzi, Shiba Ryōtarō (morto nel 1997), uno dei maggiori scrittori nipponici del XX secolo, ha ritratto prevalentemente i momenti critici della storia del suo Paese. L’ultimo shōgun uscì nel 1967, ma soltanto lo scorso anno Einaudi lo ha tradotto in italiano. Meglio tardi che mai.

L’ultimo shōgun è un romanzo storico, ma non corrisponde pienamente all’idea che abbiamo di questo genere letterario in Occidente: sullo sfondo gli eventi e i personaggi storici, in primo piano quelli di invenzione. Nel caso del libro di Shiba Ryōtarō, il personaggio storico è anche il protagonista della vicenda narrata, cosa che la rende ancora più romanzesca.

Nella storia dell’umanità, ogni tanto appare un uomo che liquida un regime o un’istituzione politica e così facendo apre una nuova fase storica. Ottaviano Augusto realizzò pacificamente ciò che fu impedito con l’assassinio al padre adottivo, Giulio Cesare: la fondazione del Principato che avrebbe messo fine a cinque gloriosi secoli di Repubblica. Nei nostri tempi due persone geograficamente e politicamente distanti, Mihail Gorbačëv e Frederik de Klerk, diedero la picconata decisiva rispettivamente all’URSS e al regime segregazionista sudafricano.

Tutti e tre gli esempi citati si riferiscono a personaggi storici, se non lungimiranti, quanto meno ricettivi dello spirito dei tempi. Tutti e tre compresero che la forma statuale che si trovarono tra le mani era moribonda o in declino. Tutti e tre capirono che toccava a loro dare il colpo di grazia, perché solo i regimi deboli crollano. Nondimeno, queste figure restano spesso controverse e la storiografia, forse viziata da un approccio ideologico, sembra incapace di stabilire se furono esempi di forza o di debolezza, di alta strategia o di basso tatticismo.

C’è un quarto esempio ascrivibile a questa casistica ed è Tokugawa Yoshinobu. Nominato quindicesimo shōgun nel 1866 a trent’anni, Yoshinobu mantenne la carica per poco più di un anno. La sua inattesa rinuncia consentì la restaurazione del potere imperiale, segnando la fine dello shogunato, un’istituzione politica nata come elettiva e diventata dinastica che aveva governato il Giappone per secoli in vece dell’imperatore.

La parte del biografo obiettivo sta stretta a questo Stefan Zweig giapponese che, come è ovvio, si prende qualche licenza nel descrivere il suo personaggio e i più minuziosi dettagli della sua vita privata, non avendo per contro alcun grado di libertà nel riferire fatti storicamente documentati. Il suo contributo è soprattutto interpretativo. Yoshinobu è messo al centro della dura battaglia tra isolazionisti e aperturisti che si combatteva tra gli anni Cinquanta e Sessanta del XIX secolo. Ryōtarō ne è certamente affascinato, lo considera un predestinato, come molti allora in Giappone, né più né meno di come Machiavelli considerava Cesare Borgia. Sostiene che «l’ostinazione e la tenacia avrebbero contraddistinto il suo carattere per tutta la vita». D’altro canto, gli storici ritengono che come politico fu eccessivamente cauto e poco incline all’azzardo. In realtà Yoshinobu fu un uomo a cui il Giappone deve ancora molto. Fu l’iniziatore di un processo di modernizzazione del Paese, lo dotò per la prima volta di una marina e di un esercito moderni. Considerato a torto un nemico del potere imperiale dalla corrente più reazionaria spalleggiata dai samurai, suo malgrado dovette arrendersi al “nuovo corso” e, dopo oltre due secoli, liquidò il dominio ereditario del proprio casato, rimettendo il potere all’imperatore e abbreviando una sanguinosa guerra civile.

Chi è stato veramente Tokugawa Yoshinobu? Un cospiratore? Un vigliacco? Un grande statista e un fine stratega o un aristocratico che si è trovato nell’occhio di un ciclone della storia giapponese e si è barcamenato come meglio ha potuto per salvare il salvabile? Se bisogna arrivare alla fine del volume per darsi una risposta, lo si deve alla maestria affabulatoria dell’autore.

Shiba Ryōtarō racconta l’intera vita di Tokugawa Yoshinobu a partire dall’infanzia. Solo la prima parte della trama e il finale dedicato alla vecchiaia scorrono placidamente, il resto del romanzo è un fiume in piena, l’azione incalza con continui colpi di scena, gli eventi sembrano condurre verso il precipizio. È la crisi del shogunato, uno strisciante colpo di Stato militare che in Giappone è durato sei secoli, e insieme quella di un intero Paese: sono quelle tempeste della Storia in cui Shiba Ryōtarō ama buttarsi come un cacciatore di uragani. La sua narrazione avventurosa e straordinariamente ricca di particolari ci guida nella labirintica corte dello shogunato, nella sua complessa struttura gerarchica, nei complotti politici tra vassalli dei più eminenti feudatari, nelle congiure di palazzo tra rami principali e rami cadetti degne della dinastia giulio-claudia. Sono gli anni in cui l’ammiraglio americano Perry, rompendo gli indugi e saltando a piè pari la prudente diplomazia europea che fino a quel momento aveva tessuto i rapporti tra gli stati coloniali e il blindato feudalesimo del Sol Levante, impose il diktat al governo: apertura dei porti alle navi straniere o guerra. Fu la convenzione di Kanagawa del 1854.

La tesi sostenuta nel romanzo è che la dinastia dei Tokugawa era da tempo in declino. Gli innesti di sangue per via femminile avevano fatto prevalere lo spirito cortigiano a quello guerriero, gli ultimi shōgun erano spesso degli inetti, avevano molte mogli e generavano decine di figli, gran parte dei quali moriva in giovane età per l’elevato tasso di consanguineità, mentre i possibili eredi non si mostravano più all’altezza dell’altissima dignità che avrebbe potuto attenderli.

L’ultimo shōgun è un grande affresco storico, un testo fondamentale per comprendere la rapida, sofferta transizione del Giappone dall’era feudale alla contemporaneità. Spirito dei tempi e della tradizione si fronteggiano ad armi impari: i fautori della modernizzazione hanno in poppa il vento della Storia, del progresso tecnico e, non ultimo, delle grandi potenze straniere, i difensori dell’antico regime sono reazionari dal sangue reso guasto dai troppi matrimoni tra parenti, più preoccupati di difendere i privilegi del loro ristretto gruppo familiare che di procurare un rinnovato benessere al Paese.

Recensioni – Oggi Maurizio Grasso vi farà conoscere “L’ultimo shōgun” di Shiba Ryōtarō

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