Libri, recensioni 15 Settembre 2025

Recensioni – Oggi Maurizio Grasso vi farà conoscere “Quando le gru volano a sud” di Lisa Ridzén

Recensioni – Oggi Maurizio Grasso vi farà conoscere “Quando le gru volano a sud" di Lisa RidzénLivorno 15 settembre 2025 Recensioni – Oggi Maurizio Grasso vi farà conoscere “Quando le gru volano a sud” di Lisa Ridzén

“Non è mai troppo tardi per leggere un buon libro”

Rubrica di recensioni, a cura dello scrittore e traduttore Maurizio Grasso.

Non sono sempre necessariamente recensioni di libri appena usciti, ma di “buoni libri”.

Oggi Maurizio Grasso vi farà conoscere “Quando le gru volano a sud” di Lisa Ridzén

Quando le gru volano a sud della giovane svedese Lisa Ridzén è stato uno dei casi letterari dello scorso anno. Da qualche mese l’editore Neri Pozza lo ha reso disponibile al lettore italiano.

Il testo della Ridzén è un’astronave miniaturizzata che viaggia nella mente di Bo Anderson, un vecchio «che ha perso tutte le libertà», col suo presente fatto di rinunce e di umiliazioni, con il solo passato a fargli compagnia, oltre a Sixten, l’affezionato cane di cui il figlio Hans vuole privarlo, perché a suo giudizio fa una vita troppo sedentaria e l’anziano genitore non è più in grado di accudirlo.

La narrazione parte in sordina e il lettore, come di consueto, cerca di prendere le misure allo stile di un autore che non ha mai letto. Del resto, può mai essere concitata la vita interiore di un vecchio? È al ralenti, scorre come olio, non come acqua. Dipinto con lente pennellate da una invisibile mano, si completa davanti ai nostri occhi l’acquerello di un paesaggio nordico, con un netto contrasto tra la natura incontaminata delle foreste scandinave, di cui pare di sentire l’odore di resina, e il calore di brace e di fiato umano che emana l’interno domestico di Bo.

Siamo in un villaggio rurale della Svezia. Bo ha ottantanove anni e vive solo da quando, tre anni prima, sua moglie Fredrika è stata ricoverata in una clinica per malati gravi di demenza. La mente è lucida, benché Bo viva spesso in una sorta di dormiveglia, ma il corpo non è quello di una volta, non risponde più ai comandi.

Per esempio, non riesce più ad aprire il barattolo dove tiene un foulard della moglie che, per lui, contiene ancora il suo odore, chissà per quanto ancora: deve farsi aiutare da Ingrid, una delle assistenti domiciliari che vengono a preparargli i pasti, a dosare le medicine e a tenere in ordine la casa. Preferisce farsela nei pantaloni piuttosto che mettere il pannolone come gli viene raccomandato, si cambierà prima che l’assistente di turno lo sorprenda in quello stato penoso, sempre che se ne ricordi. Quando il figlio gli chiede perché non lo accompagna a trovare la mamma, non capisce quale tragedia si cela dietro il silenzio del padre: «Non sei più tu, solo un guscio. Una svitata travestita con i tuoi lineamenti».

Lisa Ridzén non ci risparmia nulla di questo crepuscolo umano, al contrario, si adopera per farne un meticoloso inventario, come se ogni singolo dettaglio fosse cruciale. Il paragone non calza più: il crepuscolo è una magnifica tavolozza di colori, mentre la vita di Bo è una scala di grigi e ha serbato ben poco per cui valga la pena viverla. Eppure il figlio, gli assistenti domiciliari che si danno il cambio non sospettano che, dietro quel vecchio dall’apparenza sonnolenta e dalle rare parole c’è tutto un universo. Bo non è un guscio vuoto come Fredrika. Ogni singolo secondo del suo racconto mostra in controluce le sue emozioni, che parli del passato con la moglie (è a lei che rivolge il proprio monologo interiore) o delle cento minuzie che pazientemente, inesorabilmente seppelliscono la giornata di un essere emarginato dalla società.

Con i grumi di catarro in gola che gli impediscono di dire ciò che vorrebbe, con quelle pipì traditrici che gli bagnano ogni tanto i pantaloni, Il presente di Bo non è che una somma di irruzioni indesiderate nel flusso della memoria. Il ricordo del padre severo, che Bo chiama “il vecchio”. I quarantasette anni trascorsi in segheria senza mai avere un burnout, come Hans chiama il suo stress da lavoro. Il pancione di sua moglie in attesa, l’infanzia del bambino a cui insegna a pescare. Vorrebbe dire tante cose a questo figlio ormai canuto, padre a sua volta di un’adulta, pieno di soffocanti premure per Bo. Hans lo tratta come un fragile soprammobile, gli proibisce di fare quasi tutto da solo, gli mette in casa perfino un letto da ospedale.

Non possono più comprendersi, né comunicare da pari a pari: i ruoli si sono invertiti. Senonché, l’educazione di un padre, pur rappresentando l’autorità, mira al futuro del figlio, mentre quello di un figlio verso un padre nonuagenario è un rapporto tirannico, un tremendo gioco a eliminazione dove ogni “violazione” dell’anziano (imprudenza, peggioramento di salute) restringe sempre di più le sue libertà, fino a eliminare anche l’ultima. Tutto naturalmente “per il suo bene”.

Dove trova rifugio la mente ancora lucida di un vecchio per non percepire la miseria della propria condizione? Nel sonno: «Lì le cose sono ancora a posto. Lì ho ancora qualcosa da dire». La condizione dell’anziano non più autosufficiente è messa qui sotto la lente di ingrandimento con un misto di spietatezza e di profonda commozione. La vecchiaia è un supplizio silenzioso, fatto di solitudine e incomprensioni, di sofferenza fisica e psichica, e fa poca differenza, per un uomo recluso a doppia mandata nella propria vecchiaia, che si trovi nell’avanzatissima Svezia piuttosto che in un Paese dove non sanno neanche cosa sia il welfare. Arriva per tutti l’età in cui c’è la chiamata nominale, in cui parte il tuo pullmino per la discarica sociale.

Il romanzo è ispirato a un personaggio reale. Dopo la morte del nonno di Liza, il team di assistenza domiciliare lasciò un diario. Nulla di profondo, solo fatti nudi e crudi. Quei fogli di carta sono le fondamenta su cui la fantasia e l’ispirazione della Ridzén hanno innalzato un edificio di 336 pagine. Liza ha rianimato il protagonista con la respirazione bocca a bocca, lo ha rimesso al centro della scena come meritava, lo ha strappato a una realtà reificata e mortificante quale emerge dal diario. Per quanto volenterosi, gli assistenti di Bo non hanno nulla da chiedere a una persona per loro arrivata al capolinea. Le loro cure, lo sanno, sono palliative. Anche Bo è un malato terminale: malato terminale di vita.

Come in un moderno restauro, l’autrice ha lasciato “in vista” vestigia di quelle fondamenta: le pagine del libro sono qua e là disseminate di telegrafiche annotazioni degli assistenti che interrompono la narrazione in prima persona di Bo. Non sono messe a caso, hanno sempre attinenza con ciò che sta passando per la testa del vecchio. Si può perfino credere che Liza non le abbia neanche rielaborate. In tal caso, il suo sforzo è stato quello di essere la mano di Bo, di scrivere per interposta persona il memoir che suo nonno ha avuto nella mente, di viaggiare nel tempo o chissà dove per entrare in risonanza con un congiunto scomparso che lei deve aver amato.

Questo libro continuerà a fare rumore per qualche tempo dentro la mente di chi l’ha letto. Bisogna avere un cuore di pietra per non provare empatia e perfino affetto per il vecchio Bo, nostro nonno, nostro padre, noi stessi quando avremo la sua età.

Recensioni – Oggi Maurizio Grasso vi farà conoscere “Quando le gru volano a sud” di Lisa Ridzén

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