Recensioni – Oggi Maurizio Grasso vi farà conoscere “Quando le montagne cantano”
“Non è mai troppo tardi per leggere un buon libro”
Livorno 18 marzo 2023 – “Non è mai troppo tardi per leggere un buon libro”
Rubrica di recensioni, a cura dello scrittore e traduttore Maurizio Grasso.
Non sono sempre necessariamente recensioni di libri appena usciti, ma di “buoni libri”.
Oggi Maurizio Grasso vi farà conoscere Quando le montagne cantano
Quando le montagne cantano, della poetessa e narratrice vietnamita Nguyễn Phan Quế Mai, ha costituito un caso quando è uscito nel 2020. In effetti è uno di quei libri di autori misconosciuti che piombano in modo dirompente sulla scena letteraria; acquistano immediata notorietà planetaria e (cosa non frequente) mettono subito d’accordo pubblico e critici. Il suo excursus somiglia un po’ a quello de Il Cacciatore di aquiloni di Khaled Hosseini. I due romanzi sono accomunati dall’impellente necessità degli autori di raccontare la loro verità sulle vicissitudini dei rispettivi popoli; nazioni spesso vittime di narrazioni stereotipate, quando non di colpevoli disattenzioni.
Sono molte le qualità di Quando le montagne cantano. È una storia coinvolgente, traboccante di sciagure e di speranze, scritta con sobria poesia, raccontata con pathos ma senza un’oncia di enfasi o retorica.
Quando le montagne cantano è un testo dove ricorre il due. Due sono le narrazioni concomitanti; quella che ha al centro un intero popolo e quella di una singola famiglia. Due sono quindi i registri e i palcoscenici: uno intimo, personale, l’altro corale, che lascia immaginare illimitati campi di riso, illimitata miseria e illimitata dignità. Due sono le narratrici, Hương e sua nonna Diệu Lan. Due infine i Vietnam. Il Nord in cui si afferma un regime che non lesina alcuna sofferenza al proprio popolo pur di accelerare la transizione verso un socialismo di Stato oligarchico, di stampo russo-cinese. Il Sud che, senza soluzione di continuità, passa dalla dominazione francese all’influenza americana ma resta in mano a una classe dirigente corrotta e a governi compiacenti.
Lo sappiamo, quello vietnamita è un popolo che nel Novecento è stato straziato da molte guerre, calpestato da almeno tre invasori. Ma anche (forse la sua peggiore calamità) bersagliato da interminabili guerre civili e successivi regolamenti di conti tra i regimi che si sono succeduti al potere. Il prezzo di tutto questo è sempre stato pagato dalle classi più umili o indifese.
Al centro del racconto, esteso dagli anni Trenta fin quasi ai nostri giorni, c’è la saga della famiglia Trần, che abbraccia cinque generazioni. La trama si concentra sulle tre centrali, quella di Diệu Lan, di sua figlia Ngọc e di sua nipote Hương. In questo lasso di tempo non c’è tragedia che sia stata risparmiata tanto al Paese quanto a questa famiglia. Originariamente i Trần erano possidenti terrieri con una solida formazione culturale e con un approccio quasi tolstojano verso i propri contadini.
Dalla relativa tregua vissuta sotto il dominio francese si passa all’improvviso oltraggio dell’occupazione giapponese. Quindi alla piaga della guerra mondiale e poi, nel dopoguerra, a quella ancora più devastante della riforma agraria. Questa condusse alla rapida estinzione di un’intera classe sociale (quella a cui appartiene la famiglia Trần), sulla falsariga di quanto avvenne ai kulaki in Unione Sovietica. Le sofferenze di questo popolo non hanno fine. L’intervento Usa negli anni Sessanta, la riconquista e la riunificazione sotto il regime comunista negli anni Settanta sono fonte di infiniti altri lutti. Non c’è famiglia vietnamita che non abbia pagato un tributo di sangue in quegli anni funesti. I Trần non solo non fanno eccezione, ne sembrano l’emblema più teatralmente crudele.
Quella vietnamita non è una società matriarcale ma, in periodi di conflitti armati, i capifamiglia sono falcidiati. Soltanto la resilienza delle donne, il loro attaccamento al valore del sangue e al culto degli antenati può evitare la distruzione definitiva del nome. Per quanto decimata, la famiglia Trần sopravvive soltanto perché è innervata dalla straordinaria forza delle sue figure femminili.
L’io narrante principale è Hương. La nipote di Diệu Lan (quest’ultima è sicuramente il personaggio eponimo del libro) rievoca a lungo gli anni della sua adolescenza. Poi, con un notevole salto temporale, si sposta su quelli più vicini a noi per ragguagliarci su ciò che è stato dei suoi parenti. Tra i capitoli in cui è sua la voce ascoltata dal lettore si inseriscono quelli in cui a parlare è la nonna Diệu Lan. Benché i due io narranti si alternino, nei loro racconti la cronologia è rispettata e ogni nuovo episodio si ricollega all’ultimo riferito. Se Hương sembra recitare un suo diario intimo, Diệu Lan si rivolge apertamente alla nipote. L’intento è di trasferirle una preziosa memoria familiare, perché Hương la tramandi ai propri figli e in essi continui a vivere.
Inoltrarsi ulteriormente nella trama richiederebbe pagine e pagine. D’altra parte, questa è la prerogativa (e il privilegio) che nessun lettore è disposto a delegare ad altri. Non c’è altro da aggiungere, se non che questo romanzo ha un duplice dono. Trasportarci in un mondo esotico senza la necessità di alcuna mediazione culturale, perché vi riconosciamo emozioni e pulsioni che potrebbero essere nostre. Soddisfare palati assai diversi tra loro quanto a raffinatezza e pretese estetiche. Mi sembrano ragioni sufficienti perché Quando le montagne cantano meriti di essere letto da chiunque ama la letteratura.