Libri, recensioni 13 Gennaio 2023

Recensioni – Oggi Maurizio Grasso vi farà conoscere “Sparare ad una colomba” di David Grossman

“Non è mai troppo tardi per leggere un buon libro”

13 gennaio 2023 – “Non è mai troppo tardi per leggere un buon libro”

Rubrica di recensioni, a cura dello scrittore e traduttore Maurizio Grasso.

Non sono sempre necessariamente recensioni di libri appena usciti, ma di “buoni libri”.

Oggi Maurizio Grasso vi farà conoscere “Sparare ad una colomba” di David Grossman

Sparare a una colomba è l’ultimo libro pubblicato dal grande scrittore israeliano David Grossman.

Il titolo è emblematico e già annuncia l’argomento.

Non si tratta di un romanzo, ma di una raccolta di conferenze e di articoli.

Talvolta un testo ospita una storia — una vicenda realmente accaduta, oppure tratta da un libro del narratore, dunque una storia verosimile.

 

Da decenni Grossman sostiene la necessità della pace tra lo Stato di Israele e i popoli vicini, in particolare quello palestinese. Un’ostinazione che oltrepassa i limiti dell’umana speranza, che sconfina in qualcosa che per molti è ormai un’utopia. Le argomentazioni alla base di questa visione, la preconizzazione quasi messianica dei suoi effetti di redenzione sono, con piccole variazioni lessicali, un mantra che attraversa molti di questi testi.

Grossman non si stanca di affermare che la pace non è semplicemente auspicabile come condizione di sicurezza e serenità delle popolazioni di quella regione. È anche la sola possibilità di duratura sopravvivenza per tutti gli attori in uno scenario di centenaria conflittualità. A maggior ragione in un periodo in cui a questa idea, bollata come “delirante, infantile, ingenua”, sembra non credere più nessuno. «Oggi solo gli agenti della disperazione e dell’ostilità sono attivi in entrambi i popoli», ammette non senza sconforto Grossman.

Non credo sia un caso che un libro del genere sia uscito in un periodo così politicamente concitato per Israele.

Lo Stato ebraico ha conosciuto cinque tornate elettorali negli ultimi tre anni. Con l’attuale governo Netaniahu (il suo sesto), è arrivato a rappresentare le istanze della destra più estrema. Una destra talmente oltranzista da mirare all’annessione della Cisgiordania. Da considerare gli israeliani “pacifisti” alla Grossman come ebrei degeneri, da espellere dal loro popolo e da privare dei diritti civili, come quello di voto.

Basta leggere cosa dichiara da tempo Ben-Gvir, leader del partito “Otzma Yehudit” (Potere ebraico). Ben-Gvir ha recentemente compiuto un gesto di sfida con la sua passeggiata nella spianata delle moschee. Come noto, attualmente essa è sotto giurisdizione giordana ed è interdetta alle preghiere dei fedeli di religione ebraica. Insomma, Ben-Gvir predica una forma di autorazzismo che, nella lunghissima storia della Diaspora e in quella assai più breve dello Stato Ebraico, non ha precedenti.

Ciò che maggiormente deprime Grossman è la facilità con cui a suo giudizio gli israeliani si lasciano manipolare.

Certi politici (Netanyahu in testa) sono abilissimi nel gettare sul fuoco non ancora estinto dei traumi passati la benzina dei pericoli presenti.

I discorsi qui raccolti vertono principalmente su due concetti: pace e libertà. Grossman li declina sia in modo astratto, sia applicandoli a situazioni specifiche. Naturalmente, non possono mancare i riferimenti al proprio popolo, in conflitto con quelli limitrofi da quasi un secolo. Lo scrittore israeliano si spinge a dire che non si è liberi fin quando non si garantisce anche la libertà del proprio vicino. Per lui l’occupazione e il terrorismo sono mali che possono elidersi soltanto a vicenda.

In più d’un passaggio Grossman cerca di spiegare ciò che per molti occidentali resta incomprensibile. In Israele la Shoah non è semplicemente una memoria comune da tenere viva. È una condizione permanente dell’anima, una sorta di angoscia esistenziale da cui questo popolo non può o non riesce a evadere. Bisogna essere ebrei in Israele per capirlo. Il fatto di avere uno Stato, in apparenza una Casa comune, non cambia la vera sostanza delle cose.

Le vittime dell’Olocausto erano inermi, mentre gli israeliani di oggi contano su un esercito tra i più forti al mondo.

Resta però la minaccia esistenziale, percepita o reale, come limitazione non eradicabile dalla coscienza collettiva israeliana. Almeno fino a che le condizioni esterne non si evolveranno, da un clima di incombente conflitto militare (e di guerriglia strisciante), verso una pacifica convivenza. Ma un simile obiettivo, insiste Grossman, resterà irraggiungibile finché l’uno non comprenderà realmente, onestamente le ragioni dell’altro.

Sparare a una colomba è un piccolo volume, si finisce in poche ore e il tempo impiegato per leggerlo è speso bene. Grossman cita più volte una cinica frase di Stalin: «La morte di un uomo è una tragedia, quella di un milione di uomini è statistica». La viltà, l’indifferenza, l’ignavia sono difetti che godono di una potente impunità: quella dell’assuefazione. Un meccanismo naturale spesso vitale e positivo ma che, a volte, si rivela l’esatto contrario, ossia un istinto perverso e accecante. Lo è abituarsi ai bollettini giornalieri di guerra, distruzione o oppressione. Oggi in Ucraina, ieri nei Balcani, ogni anno in qualche landa dell’Africa o del Medio Oriente. Oppure a quelli sui diseredati che affogano nel Mediterraneo alla ricerca di un barlume di speranza per il loro futuro.

Per Grossman, che cita in proposito Massa e potere di Elias Canetti, tutto questo è conseguenza della massificazione delle persone e delle loro opinioni, dell’eclissi delle coscienze individuali a beneficio di una coscienza comune, impersonale, vaga e spesso eterodiretta.

Come il cittadino di un Paese democratico delega allo Stato i poteri esecutivo, legislativo e giudiziario in cambio della sicurezza personale e dell’erogazione dei servizi essenziali, così nella società massificata i singoli abdicano alla propria responsabilità civile e sociale, per quanto infinitesima, barattandola con una condizione catatonica ma rassicurante.

Grossman rivendica energicamente allo scrittore, testimone privilegiato delle cose umane in quanto dotato di una speciale sensitività, il dovere e l’incombenza di rappresentare, nei suoi scritti ma anche nelle sue dichiarazioni, l’infinito — non il concetto matematico o filosofico, ma l’infinito umano, la pluralità sterminata delle emozioni e degli stati d’animo che attraversano una singola persona in una vita, e che si elevano all’ennesima potenza non appena si estendono a una nazione, o all’umanità nel suo complesso.

Leggiamo libri come questo di Grossman. Non sempre, certo, ma ogni tanto, quanto basta per non incistarci, per non nasconderci dietro la narrazione di una realtà edulcorata, chirurgicamente mutilata dei suoi orrori, insomma una realtà che non esiste se non nella nostra aspirazione (ahimè del tutto naturale) alla tranquillità, all’oblio della malvagità: non per questo essa cessa di esistere e di avvelenare, dove più dove meno, questo globo terracqueo che è la sola Casa comune di tutti.

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