Recensioni – “Stoner” di John Edward Williams, un classico della letteratura universale
“Non è mai troppo tardi per leggere un buon libro”
Livorno 24 novembre 2022 – “Non è mai troppo tardi per leggere un buon libro”
Rubrica di recensioni, a cura dello scrittore e traduttore Maurizio Grasso.
Non sono sempre necessariamente recensioni di libri appena usciti, ma di “buoni libri”.
Oggi Maurizio Grasso vi farà conoscere STONER di John Edward Williams
Si potrebbe dire: Stoner o “il fascino discreto dell’umanità”.
Questo romanzo di John Edward Williams, poco noto in Italia, è ancora celebrato in patria, ossia negli States, Prima di leggerlo, ho colto in proposito definizioni come “vita di un uomo qualunque” o simili.
Uomo qualunque è una definizione che mi fa rabbrividire. Essere qualunque è essere indistinto. Mi chiedo a chi di noi è capitato di incontrare una creatura che non avesse il suo briciolo di originalità, di specialità. Sì, capisco, è una semplificazione. Ma una semplificazione che tradisce totalmente lo spirito del libro.
Anche la parola normale non è priva di rischi. Uomo normale può essere sinonimo di mediocre. Stoner non lo è affatto. La sua vicenda umana non lo sospinge verso scelte estreme, non lo renda né un Don Chisciotte né un Achab. Eppure in essa non manca nulla che possa catturare la nostra empatia perché è la storia di un’umanità riconoscibile, appunto “discreta”. Non c’è bisogno di finire nelle pagine di cronaca nera o rosa per rivendicare la capacità di provare sentimenti forti, onesti, sani. E William Stoner è esattamente questo: un uomo che accetta il menù che il destino gli propone. Nel suo apparire antieroe, è invece un eroe quanto mai attuale, ancor più oggi, forse, che quando fu creato nel 1965.
Stoner, credo, somiglia al suo autore. Origini contadine entrambi, vita accademica entrambi. Qualcuno ha scritto che per qualunque narratore è impossibile non essere autobiografici, anche quando si è convinti di muoversi nella sfera dell’invenzione. William Stoner vive e muore senza troppo brillare, o meglio, senza voler brillare. Nella sua prefazione, John Williams mette le mani avanti. L’università di Columbia che descrive non è quella dove lui stesso ha lavorato (la dedica è ai colleghi del suo dipartimento). È un’evidente excusatio non petita e sappiamo cosa dicevano i latini a tal proposito.
La prosa di Williams è lineare, mai sopra le righe, né sotto il profilo lessicale né sotto quello sintattico. Un’introspezione tradizionale eppure non priva di attrattive. Viene da pensare che ci sia in essa qualcosa di nuovo, benché indefinibile. Non è facile enucleare l’elemento di originalità di Williams come non lo è del suo personaggio Stoner, chiamato quasi sempre per cognome e basta.
Eppure è un libro di cui il lettore sente che non deve perdere una sola parola. Ogni singola frase è per così dire una struttura portante di tutta la storia, anch’essa una storia dall’apparenza del tutto normale.
Poco oltre la metà del libro, viene descritto uno dei più commoventi addii d’amore della storia della letteratura. A Williams sono sufficienti poche parole, un breve dialogo. Lascia al lettore colmare con la propria empatia, la propria immaginazione e capacità di immedesimazione il capolavoro.
Stoner è stato definito il “romanzo perfetto”. In alcuni commenti sparsi sulla rete ho letto che sembra non succedere nulla. Sembra. Succede moltissimo. Benché William Stoner sia l’indiscusso baricentro del plot, nessun personaggio, anche se liquidato con una decina di periodi, è trascurato, sciatto, indefinito. L’autore li plasma con mano sicura, come se li avesse sempre avuti dentro tutti.
Anche i passi più tecnici, dove si parla degli influssi di antichi grammatici latini su un gigante come Shakespeare, sono proposti in modo naturale, senza asperità. Anche per un lettore che non ha il background culturale sufficiente per comprendere tutto. Comprende certamente, qualsiasi lettore attento, la dinamica emotiva che sottende un dialogo a cinque voci che si svolge dentro un ateneo. In quella sala, con molte reticenze e poche frasi dirette, si decidono per sempre le sorti del protagonista. Tutto questo accade inesorabilmente, perché Stoner è un uomo che non può tradire se stesso. Per lo stesso motivo, non per paura delle conseguenze, arriva a scegliere il sacrificio. Non vedersi più con la sola donna che ha veramente conosciuto e amato.
Il finale, per così dire, “va oltre”. Imperdibile. Racconta la fine di un uomo con una semplicità che rapisce. Il traduttore nella sua prefazione ci spiega che era convinto di morire anche lui, tanto si era immedesimato nella situazione. Finale memorabile, discreto, silenzioso come il suo personaggio. Rende questo romanzo non lunghissimo un classico, un “classico a scoppio ritardato” della letteratura non solo americana ma universale.