Libri, recensioni 12 Novembre 2022

Recensioni – “Tre piani” di Eshkol Nevo. Tre storie di persone che vivono in piani diversi nello stesso palazzo

“Non è mai troppo tardi per leggere un buon libro”

Livorno 03 novembre 2022 –  “Non è mai troppo tardi per leggere un buon libro”

Rubrica di recensioni, a cura dello scrittore e traduttore Maurizio Grasso.

Non sono sempre necessariamente recensioni di libri appena usciti, ma di “buoni libri”.

Oggi Maurizio Grasso vi farà conoscere “Tre piani” di Eshkol Nevo

A molti di noi, credo, il titolo Tre piani evocherà l’ultimo film di Nanni Moretti, presentato a Cannes lo scorso anno. In effetti, la pellicola è liberamente tratta da questo romanzo dello scrittore israeliano.

Tre storie, tre protagonisti: Arnon, Hani, Dvora. Tre persone che, quasi in sincronia, attraversano una loro “linea d’ombra”. Situazioni di cambiamento, ora incresciose, ora semplicemente sorprendenti. Chi si è messo da sé in guai seri, chi teme di averlo fatto.

Che cos’hanno in comune queste storie? Arnon, Hani e Dvora vivono rispettivamente al primo, secondo e terzo piano dello stesso fabbricato. Rapporti tra loro all’apparenza labili. Di volta in volta, gli altri due fanno capolino nella storia del terzo. Un incontro sulle scale, davanti al bancomat o ai giardini pubblici, piccoli dettagli quotidiani senza importanza. Né più né meno, condomini che si conoscono, si salutano, si incontrano una volta l’anno pur vivendo a qualche metro di distanza. Con lo scorrere delle pagine, si scopriranno fra loro coincidenze causali imprevedibili.

Arnon è un interior designer che ha messo a repentaglio il proprio matrimonio per una stupida scappatella. In un lungo monologo dentro un caffè, racconta a un amico scrittore (vi è camuffato lo stesso autore?) la sua situazione ingarbugliata e problematica. Ha sospettato un anziano vicino di aver molestato la sua bambina. Ha rischiato di strangolarlo in ospedale. Si è fatto irretire da una minorenne che ha millantato chissà quali esperienze sessuali e alla resa dei conti si è rivelata vergine. Ora la ragazzina minaccia di dire tutto ad Ayelet, la moglie avvocato di Arnon che già lo considera un maniaco del sesso. Se accadrà, chi lo salverà dal divorzio e dalla perdita dei figli?

Hani è una donna da tempo in depressione, smarrita in un suo circolo vizioso interiore. Con un marito sempre in viaggio per affari, è stata costretta a rinunciare al proprio lavoro di grafica per occuparsi dei due bambini. In una lunga lettera all’amica Neta, trasferitasi negli Stati Uniti, racconta i pochi giorni che hanno sconvolto la sua vita. Ha conosciuto Eviatar, il fratello che il marito Assaf detesta e che lei non aveva mai visto; ne ha sentito parlare in TV a causa di una colossale truffa immobiliare. Ora è ricercato dalla polizia, dai clienti e perfino dalla mafia. Insensatamente lo ha ospitato per due notti. Perché? Eviatar l’ha sorpresa. Si è comportato con una tenera, autorevole paternità con i bambini (che il padre vero non ha mai mostrato). Si è conquistato subito le loro simpatie. In lei è allora scattato l’istinto di “non fare la cosa giusta”.

Il marito torna dal viaggio di lavoro. Sorprendentemente i bambini non raccontano al padre di aver conosciuto uno zio così simpatico di cui non avevano mai sentito parlare. Altrettanto sorprendentemente Hani non confessa nulla ad Assaf, come invece era certa di fare. I giorni passano, nella lettera a Neta Hani confessa il terrore di non essere creduta neanche da lei. Tutto ciò che le è parso realmente accadere ora è come rifluito nel nulla. Hani ha paura di essere pazza come sua madre, che vive in un ospedale psichiatrico più o meno dall’epoca del Bat Mitzvah della figlia.

Dvora è una giudice in pensione, vedova da un anno e molto sola. Nel suo monologo si rivolge al marito defunto Michael lasciandogli messaggi in una vecchia segreteria telefonica. Erano entrambi giudici. Abitudini borghesi, vite inamidate. Ma anche una profonda onestà reciproca e un amore a prova di tutto. Un grave trauma: il figlio Adar ha deciso di rompere con i genitori e da tre anni Dvora non ha sue notizie. Prima di sparire nel nulla aveva detto alla madre che era tutta colpa loro; per lui era sempre stato insostenibile essere all’altezza delle loro aspettative. Da adolescente aveva iniziato ad avere guai con la giustizia. Poi si era fatto un po’ di prigione per aver investito mortalmente una donna incinta con l’aggravante dello stato di ebbrezza. Nonostante le sue suppliche, il padre irremovibile si era rifiutato di aiutarlo.

Dvora sente in TV di una manifestazione indetta da giovani che chiedono casa e protestano montando tende qua e là nelle città. Cerca tra i condomini qualcuno che possa portarcela. I vicini di porta non ne sanno nulla. Prova con Hani al piano di sotto. Durante la conversazione, senza saperlo, le fornisce la prova che l’avventura rocambolesca con Eviatar è realmente accaduta (Dvora lo ha visto). Hani, felice come una pasqua, la abbraccia sul pianerottolo, lasciandola interdetta, e le confessa che ha deciso di tornare al lavoro. Dvora prova con Ayelet, l’avvocatessa al primo piano. Dietro la porta sente una voce maschile supplichevole e quella di Ayelet rispondere fredda e decisa. Capisce che stanno litigando, rinuncia a suonare. Ecco dunque affacciarsi nella terza storia, inattesi, gli epiloghi rimasti sospesi nelle prime due.

Dvora andrà alla manifestazione. Nella calca sviene e, quando riprende i sensi, si ritrova in una specie di pronto soccorso psicologico. In quel consultorio improvvisato per strada, Dvora ascolta ogni genere di drammi e di traumi. Si rende conto che, mentre lei e Michael vivevano nella loro bolla, la realtà si trasformava sotto i loro occhi ciechi. «Abbiamo vissuto nel Borghesistan», ammette parlando alla segreteria. Sente parlare dei “tre piani” dell’anima, l’Es, l’Io e il Super-io, decide di comprare le opere di Freud. Accadono alcuni lieti imprevisti che la riaccendono di una nuova vita.

La seconda storia inizia dove finisce la prima: un incontro al bancomat tra Arnon e Hani. La terza inizia dove finisce la seconda: l’abbraccio sul pianerottolo tra Hani e Dvora. Un ingegnoso passaggio di consegne temporale che Nevo escogita per affratellare tre esistenze distanti, in apparenza, anni luce. C’è tra essi un comune denominatore: tutti e tre hanno un bisogno disperato di un interlocutore. Ciascuno si aggrappa a quel che ha sotto mano, un buon ascoltatore, un’amica lontana, un marito morto. Il monologo è la forma con cui la coscienza si libera. Avvia una purificazione di se stessa, avvelenata fino a quel momento dal fardello di crucci mai condivisi. Passando da una vicenda alla successiva si avverte un crescendo di vita, uno schiudersi di positività. Al primo piano lo sconforto (l’ES), al secondo la speranza ritrovata (l’Io), al terzo l’illuminazione (il Super-Io).

Sotto la lente attenta e impietosa di Eshkol Nevo c’è la spersonalizzazione dei rapporti umani provocata dalla civiltà urbana. In questo pervasivo processo di disumanizzazione si smagliano anche i legami familiari, si sfalda l’intero Stato ebraico. «Il sionismo sta perdendo, e mentre succede gli abitanti di questo palazzo dormono», si dice una lucida e rammaricata Dvora.

Eshkol Nevo è abilissimo nel dare sempre alle vicende riferite il clima e il ritmo narrativo più congeniali. Ingabbia i suoi logorroici personaggi in una prigione di eventi che il loro stesso carattere o vissuto li induce fatalmente ad attirare su di sé. Veste loro su misura avventure che, nel bene e nel male, li cambieranno.

Tre piani è una lettura davvero godibile, a tratti commovente, mai banale. È un romanzo che, en passant, fa trapelare l’atmosfera di allarme di un Paese che cerca tenacemente di esorcizzare i suoi perseveranti fantasmi.

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