Libri, recensioni 6 Ottobre 2022

Recensioni – “Un Occidente prigioniero” di Milan Kundera, un piccolo libro profetico

“Non è mai troppo tardi per leggere un buon libro”

Livorno 6 ottobre 2022 –  “Non è mai troppo tardi per leggere un buon libro”

Rubrica di recensioni, a cura dello scrittore e traduttore Maurizio Grasso.

Non sono sempre necessariamente recensioni di libri appena usciti, ma di “buoni libri”.

Oggi Maurizio Grasso vi farà conoscere “Un Occidente prigioniero” di Milan Kundera

Un piccolo libro profetico

Un Occidente prigioniero è un breve saggio che Milan Kundera scrisse ormai esule a Parigi quasi quarant’anni fa. È stato ripubblicato in volume lo scorso anno in Francia e, pochi mesi fa, anche in Italia da Adelphi.

Oltre che il grandissimo narratore che già conoscevamo, Kundera si conferma acuto saggista. Ne L’arte del romanzo si era cimentato con le radici della forma letteraria più diffusa. Qui il suo linguaggio multidisciplinare e il suo stile sapientemente digressivo si misurano con la Storia con la esse maiuscola. Difficile trovare in così poche pagine tante intuizioni fulminanti, tanti spunti stimolanti di riflessione.

I temi affrontati nel saggio sono essenzialmente due: la sorte della cosiddetta Europa centrale in particolare e dell’Occidente in generale. Su entrambi incombe l’ombra massiccia della Russia e delle sue velleità di supremazia.

Ruolo e vocazione antirussi della Mitteleuropa

La prima tesi sostenuta dallo scrittore ceco è che esista una specificità di quelle che chiama “piccole nazioni dell’Europa centrale” (Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Polonia). Questi popoli hanno avuto un destino accidentato soprattutto per questioni geopolitiche; hanno faticato più di altri Stati europei per costituire una propria identità nazionale.

Essi si sono sempre sentiti parte dell’Europa, concetto più culturale che geografico, e hanno sempre visto la Russia come un mondo “altro”. Poi, nel 1945 si sono trovati, da un giorno all’altro, non più parte dell’Occidente ma dell’Est.

E questa partita, che si credeva chiusa con la liquidazione dell’URSS e soprattutto dopo l’ingresso nella UE, nei fatti non lo è ancora.

L’“orso russo” si è dato (e/o sta subendo) un tiranno che ha riattizzato l’antica, atavica aspirazione moscovita di espansione imperialista. È una vecchia storia.

«Ai russi piace definire slavo tutto ciò che è russo, in modo da poter poi definire russo tutto ciò che è slavo». Sono parole dello scrittore ceco del XIX secolo Karel Havlíček, che Kundera cita.

L’Europa centrale aveva per Kundera la vocazione di rappresentare «una piccola Europa ultra-europea». Molti dei grandi poeti, narratori, pensatori novecenteschi hanno visto la luce in questo cuore d’Europa. Proprio il secolare stato di subalternità agli imperi centrali da una parte o a quello zarista dall’altra aveva fatto della Mitteleuropa qualcosa di unico. Un compendio della ricchezza culturale del Continente, un modello in scala di un’Europa delle nazioni fondata sul massimo delle differenze nel minimo spazio possibile. «Come avrebbe potuto non inorridire di fronte alla Russia, che si fondava sulla regola opposta: il minimo di diversità nel massimo spazio?»

A quest’Europa apparentemente “minore”, crogiolo di lingue e di culture, che scriveva nell’alfabeto latino, nulla era più estraneo del mondo dei caratteri cirillici. Con la Russia (Polonia a parte) aveva avuto ben poco a che spartire nell’epoca moderna e contemporanea.

Nessuno meglio di questi Paesi sulla frontiera orientale ha saputo percepire che Mosca era e sarebbe rimasta un Anti-Occidente.

La Russia, sostiene Milan Kundera, è agli antipodi. Massificante, nemica delle specificità, concentrata a omologare tutti i popoli del proprio impero (ucraini, bielorussi, baltici) a quello russo, naturalmente in posizione subalterna. Non è un caso, quindi, se oggi i Paesi dell’Europa centrale sono i più accaniti sostenitori dell’Ucraina in lotta contro il neozarismo di Putin. Fa eccezione l’Ungheria, e solo perché ha Orban.

Declino di un’Europa delle Nazioni e rinascita dell’aspirazione imperialista della Russia

In questo saggio Kundera fornisce le basi analitiche per due rilevanti fenomeni contemporanei.

Il primo è il ritorno dell’imperialismo russo nella forma del neozarismo. La Russia, per lui, è vocata a ergersi come “monarchia universale” con Mosca “terza Roma”. Aspira naturalmente a una sfera di influenza proporzionata alla sua sterminata superficie. Cosa che, se perdurasse o si aggravasse (Kundera scrive nel 1983, quando l’URSS esiste ancora), sarebbe una iattura senza precedenti per l’umanità. Parole di cui oggi possiamo misurare tutta l’allarmante attualità.

Il secondo fenomeno in qualche modo annunciato dal saggio di Kundera è la creazione del “gruppo di Visegrád”. Sappiamo che la guerra russo-ucraina l’ha minato. Eppure questo tentativo, bollato (giustamente) come sovranista, ha le sue radici nella Storia e non solo nella cronaca. Restituire importanza alle “piccole nazioni” del Centro Europa, per secoli vasi di coccio tra i vasi di ferro a Ovest e a Est.

Tuttavia Kundera ne ha soprattutto per l’Europa. È la riflessione finale del suo saggio. A suo avviso l’Occidente sembra aver abdicato al suo scopo, al suo compito storico.

Il nazionalismo di cui negli anni Ottanta coglieva i primi segni e che oggi dilaga gli fa semplicemente orrore. Ostinarsi a considerare la difesa delle frontiere una virtù, non il loro superamento, è un’aberrazione etica e storica. Le idee non hanno confini per lo scrittore boemo. Chi vuole difendersi dall’alterità va contro la Storia. Non perché difenda la propria identità, cosa in sé naturale. Perché si oppone al processo osmotico delle culture, delle lingue, delle tecnologie e dei popoli che incarnano questi progressi; si oppone insomma al sale dell’umanità concepita come una comunità sovranazionale.

L’autore ceco naturalizzato francese mette in guardia contro l’offerta politica di un “presente decontestualizzato”, che ignora la Storia. Simili movimenti, una volta al potere, «possono trasformare la patria in un deserto privo di storia, di memoria, di echi e di ogni bellezza».

Parole che, se suonavano premonitrici per i tempi in cui il saggio è stato scritto, sono ormai realtà per quelli che stiamo vivendo.

«Tutta la grande produzione centroeuropea del nostro secolo, sino a oggi, potrebbe essere interpretata come una lunga meditazione sulla possibile fine dell’umanità europea». Per Milan Kundera l’Europa la smarrito la coscienza della propria unità così come si era generata, ossia come una nativa omogeneità culturale. Col senno del poi, come dargli torto?

Le comuni radici sono inequivocabilmente individuabili: (lascito greco-romano, Antico e Nuovo Testamento. Eppure, a causa di veti incrociati, la UE non è stata capace di darsi neppure una Costituzione, per quanto puramente valoriale. A parole, con trascurabili eccezioni, si dichiara unita e fondata su un sistema di valori democratici. In realtà, quando si tratta di prendere decisioni capitali, prevale sempre il particulare di un singolo Paese che pone veti. Oggi è il price cap sul prezzo del gas, domani sarà altro. Perché? Perché la UE è rimasto un mercato comune e poco più. Non ha politiche unitarie in campi vitali come gli affari esteri, la difesa, l’energia, l’ambiente, l’immigrazione.

Un Occidente prigioniero è un libro che è arrivato il momento di leggere. Sia per risalire alle cause di cui vediamo oggi i preoccupanti effetti, sia per concepire e formulare un’idea “viva” di Occidente. Un’idea al tempo stessa radicata nel passato e aggiornata al corso sempre mutevole degli eventi planetari.

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