Stagno (Collesalvetti, Livorno) 23 febbraio 2020 -“Molte cose si stanno chiarendo finalmente in questi giorni a proposito del mega-inceneritore di rifiuti che ENI vuole costruire a Stagno.
A cominciare proprio dal nome: non è una “bio” raffineria, ma un vero e proprio inceneritore, con una capacità di smaltimento che può arrivare ad almeno 5 volte l’inceneritore di Aamps.
Poco importa se “gassifica” i rifiuti, producendo “syngas”: per la legge resta comunque un inceneritore.
Non utilizziamo più termini rassicuranti rischiando di confondere la gente, chiamiamo le cose con il loro nome.
E’ anche chiaro ormai che, dopo mesi dai trionfali annunci dell’estate scorsa, non solo non è stato ancora presentato uno straccio di progetto tecnico e di piano industriale, ma la Regione non ha neanche firmato il protocollo d’intesa, che però risulta presentato e pubblicato nel luglio scorso. Perché un ente pubblico punta tutto su un progetto ancora da scrivere?
Ci sono poi altre 9 domande rimaste senza risposta:
1) perché viene considerato accettabile scaricare i rifiuti delle altre province su Livorno, solo perché la magistratura e la protesta popolare hanno bloccato la costruzione del mega-inceneritore di Sesto Fiorentino? La Regione ha promosso per decenni la strategia della chiusura del ciclo dei rifiuti all’interno degli ATO, adesso non può rimangiarsi tutto per favorire Firenze.
2) perché viene considerato accettabile che sia Livorno ad ospitare questi rifiuti, dato che è interessata da una grave emergenza ambientale e sanitaria, oltre ad essere inserita tra i siti da bonificare con urgenza?
3) perché viene affermato impudentemente che l’impianto non produrrà emissioni, quando invece è scontata la produzione di centinaia di migliaia di tonnellate di emissioni ogni anno, gassose, liquide e solide? Dove e come verrebbero smaltite?
4) perché si parla a sproposito di economia circolare e di alternativa ai combustibili fossili? Secondo l’attuale legislazione europea (articolo 3.17 DQ, 2008/98/CE) il concetto di riciclaggio “non include il recupero di energia e il ritrattamento in materiali che devono essere usati come carburanti”. Trasformare la plastica in carburante non riduce la domanda di plastica vergine, il che significa che la nuova plastica deve essere prodotta da fonti fossili. Quindi i combustibili derivati dalla plastica sono una forma di combustibile fossile!
5) perché si parla a caso di 60 posti di lavoro, se non c’è ancora un piano industriale? Solo con la raccolta porta-a-porta si sono creati a Livorno molti più posti di lavoro, se ne potrebbero creare altre centinaia se il territorio puntasse decisamente verso l’industria del riciclo, per non parlare dell’occupazione che si creerebbe con i lavori di bonifica e con una riconversione della raffineria verso le vere energie rinnovabili pulite, come ENI sta facendo a Ravenna, in Sicilia, ecc.
6) perché non si parla di quanto ENI incasserebbe dalle bollette TARI, pagate dai cittadini toscani, per il servizio di smaltimento rifiuti dentro la raffineria, appaltato dalle aziende pubbliche regionali? E’ evidente che sarebbe quello il vero business per l’azienda, non gli esigui e teorici ricavi per la produzione di syngas e metanolo;
7) perché allora non si discute se sia legittimo affidare un appalto pubblico per miliardi di euro senza una gara trasparente, in cui più aziende possano proporre diverse soluzioni ed in cui la Regione possa scegliere l’opzione meno costosa e ambientalmente più sostenibile?
8) perché non si parla delle osservazioni presentate da Rifiuti Zero alla Regione nell’autunno scorso, che mettono nero su bianco un piano alternativo per il trattamento dei rifiuti urbani residui, basato su politiche di riduzione, riciclo industriale dei materiali e impianti TMB?
9) perché, infine, non si chiarisce una volta per tutte che i limiti di concentrazione degli inquinanti imposti dalla normativa sono riferiti al metro cubo di fumi e non all’emissione totale? Bruciando più rifiuti si ottengono più fumi e quindi più emissioni inquinanti, ma si rimane sempre nei parametri di legge. Detto in altri termini, i limiti si occupano della qualità dell’emissione, ma non della quantità delle emissioni cioè dell’impatto complessivo sull’ambiente. Per tale motivo, le norme non garantiscono un valore di concentrazione degli inquinanti “sicuro” per la salute umana, in base a studi medici ed epidemiologici”.