Libri, recensioni 14 Aprile 2025

Recensioni – Oggi Maurizio Grasso vi farà conoscere “Un caso letterario: il primo romanzo di un barbone”, “Storia di mia vita” di Janek Gorczjca

"Un caso letterario: il primo romanzo di un barbone", "Storia di mia vita" di Janek GorczjcaLivorno 14 aprile 2025 – “Non è mai troppo tardi per leggere un buon libro”

Rubrica di recensioni, a cura dello scrittore e traduttore Maurizio Grasso.

Non sono sempre necessariamente recensioni di libri appena usciti, ma di “buoni libri”.

Oggi Maurizio Grasso vi farà conoscere “Un caso letterario: il primo romanzo di un barbone”, “Storia di mia vita” di Janek Gorczjca

Storia di mia vita è stato uno dei clamorosi casi editoriali degli ultimi mesi. Innanzitutto perché Janek Gorczjca è un clochard, un senza fissa dimora. In secondo luogo perché, nonostante il successo di questo suo primo libro, ha continuato a vivere per strada come prima. Infine, perché Janek Gorczjca, che è polacco, scrive in una lingua strana. Parla l’italiano dell’immigrato dell’Est, senza articoli e proposizioni articolate, semplicemente perché non esistono in polacco. Uno straniero, solitamente, soprattutto quando inizia ad apprendere dalla strada la lingua del Paese in cui si è trasferito, innesta un nuovo lessico nella sola sintassi che conosce. Se un editor avesse eliminato gli errori, il libro avrebbe mantenuto un interesse per così dire sociologico, ma avrebbe perduto irreparabilmente quello estetico e poetico.

È questo insieme di caratteristiche a fare di questo libro un unicum? No, c’è dell’altro. C’è l’autore, l’uomo Janek, i suoi sessant’anni che equivalgono a seicento di una persona “normale”.

Nonostante le sgrammaticature, si sente che Janek l’italiano parlato lo conosce, che ha fatto buone letture (Tolstoj e Puškin i suoi preferiti), che si è culturalmente contaminato con tutte le fonti gli siano capitate a tiro: i libri come le disgrazie, l’amore per le persone e per i cani come la violenza per conservare una camera in un edificio occupato.

Janek ci spiega fin dall’inizio come si diventa un clochard. È la fine degli anni Novanta a Roma. Si perde il lavoro, scade il permesso di soggiorno, finiscono i pochi risparmi. Non basta. «A distanza di anni mi domando che cosa mi ha spinto di fare questa scelta difficile. Sentimenti? Ne ho pochi. Carattere ribelle? Mancanza di senso di responsabilità? Più probabile voglia di vita un po’ sbandata». Solo alla fine del libro si capirà chi è stato veramente Janek Gorczjca.

Si può dormire per strada pur avendo un lavoretto al nero, come è sempre accaduto e tuttora accade a Janek. Si può dormire per strada perché si ha un affetto, Marta, e si pensa prima a sistemare lei come badante a Valle Aurelia mentre lui rimane nel quartiere di Talenti, lontanissimo da Marta. Lei è libera il giovedì pomeriggio e la domenica. Allora i due si vedono. Per il resto, la vita è dura. «Per non pensare troppo si beve dalla mattina fino a sera tardi».

Il mestiere di Janek Gorczjca è il fabbro. Qualcuno nel quartiere suggerisce che Villa Farinacci, quella del gerarca fascista, nei pressi della Nomentana, è disabitata. La chiamano “la Torre”, prima del ’98 è stato un centro sociale e poi una pizzeria. Per lui cambiare la serratura del cancello è facile. Si comincia così a creare una comunità di sbandati, che si aggregano per sfuggire al freddo della vita, come i pinguini in Antartide fanno un corpo unico per resistere al gelo. Caratteristica di questa piccola comunità è l’accoglienza. Si aggregano altri senza tetto, polacchi, perfino italiani. Gente che va, gente che viene. È l’apostolato della solitudine, la vita comunitaria degli invisibili che devono restare tali se vogliono tenersi un tetto sopra la testa, sia pure abusivo.

Storia di mia vita è scritto come un diario. Procede con la descrizione di eventi cronologicamente lineari. È una vita fatta di piccole tregue nella vera routine, quella del pericolo sempre in agguato, di bisogni primari, di sentimenti senza sfumature. La sovrastruttura è assente. Non c’è tempo per contemplare la disperazione, a stento avanza quello per leccarsi le ferite, fisiche e morali. Questa vita non ne aspetta la cicatrizzazione, se ne aprono di sempre nuove e non tutti ce la fanno a tirare avanti così a lungo. Janek sì. «Mi salva lavoro e mia resistenza».

La lingua di Janek si adegua. È asciutta, sfrondata di tutte le considerazioni e gli elementi inessenziali. Gorczyca è la voce di un mondo che non parla. A livello macroscopico è oggetto di rilevazioni Istat, nel piccolo della solidarietà di volontari di ONLUS ma anche di gente semplice, del quartiere.

Dal ’92, quando ha lasciato la Polonia, fino agli ultimi anni, la vita di questo polacco italianizzato è un’ininterrotta peripezia. È arrivato un trentenne che oggi si ritrova ultrasessantenne. Ancora giovane, si accendeva di ira e diventava violento, soprattutto se qualcuno creava problemi alla sua Marta. Tutti gli ospedali e le stazioni dei carabinieri della zona lo conoscono. Ma lo conoscono anche gli abitanti di Montesacro e di Talenti, perché Janek è stato abile nel costruirsi una rete sociale, e c’è sempre qualcuno che lo aiuta quando è in difficoltà.

Il rapporto con la sua compagna Marta (che morirà di cancro nel 2022) è fatto di infinite tenerezze a attenzioni, Janek si fa in quattro per lei. Ma a volte, come si dice in gergo, “sbrocca”. Per esempio quando per la disperazione si cosparge di benzina e poi con un accendino in mano le chiede: «Devo accendere? Lei risponde sì se hai il coraggio e io accendo, divento una torcia vivente». Conseguenza: 4 interventi di chirurgia plastica in 3 settimane, 24 giorni di terapia intensiva, un nuovo volto.

Janek Gorczjca non è un ribelle per disperazione. Lo era da giovane in Polonia. È là che si è formato il suo carattere anarchico e insieme “etico”, che preferisce spezzarsi che piegarsi, che non sopporta le ingiustizie al punto di mettersi sempre e sistematicamente nei guai. Anche all’Est una vita avventurosa. Le manifestazioni antigovernative. L’invio da militare in Afghanistan. Vari anni in Russia per lavorare alla costruzione di centrali nucleari. Un matrimonio sbagliato con una russa. Il ritorno in Polonia, nel 1989 la nascita del figlio che la moglie porterà via con sé fuggendo in patria. Janek non lo vedrà più.

Janek Gorczjca è un eroe picaresco del Terzo Millennio. Si è scritto da solo, prima nei fatti e poi su carta, la sua avventura, il suo eterno dissidio con la sorte. Troppo spesso ha scelto la biforcazione sbagliata nei bivi insidiosi che la vita mette davanti a tutti.

Come è nato il “fenomeno” Gorczjca? C’è stato un padrino, lo scrittore, insegnante e attivista Christian Raimo. Si era in pieno Covid. Janek e la compagna di sempre, Marta, erano ospiti di Christian, con cui si conoscevano dal 1998 quando Raimo, ancora studente, faceva parte di una comunità solidale. Christian ricordava le lettere ricevute da Janek quando era a Rebibbia, la sua lingua strana, suggestiva. Alla fine Raimo convince Janek a mettere per iscritto la sua “autobiografia”. Janek accetta. La sera, dopo il lavoro di fabbro, riempie un quaderno dopo l’altro. Raimo li riversa pazientemente in vari files e li fa leggere, tra gli altri, a un editor di Sellerio, che capisce di trovarsi dinanzi a un libro.

Ecco come Janek Gorczjca è diventato scrittore senza smettere di essere un senza fissa dimora.

“Un caso letterario: il primo romanzo di un barbone”, “Storia di mia vita” di Janek Gorczjca

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