Libri, recensioni 30 Luglio 2022

“Vicolo Cannery” di John Steinbeck, “un microcosmo popolato da ruffiani, puttane, picchiatelli, ladruncoli”. “Non è mai troppo tardi per leggere un buon libro”

Vicolo Cannery di John Steinbeck, un microcosmo popolato da ruffiani, puttane, picchiatelli, ladruncoli. “Non è mai troppo tardi per leggere un buon libro”Livorno 30 luglio 2022

Non è mai troppo tardi per leggere un buon libro

Rubrica di recensioni, a cura dello scrittore e traduttore Maurizio Grasso.

Non sono sempre necessariamente recensioni di libri appena usciti, ma di “buoni libri”.

Oggi Maurizio Grasso vi farà conoscere Vicolo Cannery di John Steinbeck

Vicolo Cannery, Monterey, California

Come Steinbeck scrive nel preambolo, Vicolo Cannery «è un poema, un fetore, un rumore irritante, una qualità della luce, un’abitudine, una nostalgia, un sogno». Un microcosmo popolato da ruffiani, puttane, picchiatelli, ladruncoli, tutti accomunati da un naturale, irresistibile anelito di libertà. Un privilegio che la cosiddetta buona società non concede a questa Corte dei miracoli del West. Si guarda dal mettervi piede, lasciando che questi paria si cuociano nel loro brodo. Piccole furfanterie manifeste e maestose generosità elargite senza boria, in silenzio: ecco Vicolo Cannery. In questa sorprendente rigatteria umana la penna di John Steinbeck è andata a frugare, dissotterrando dal ciarpame i suoi tesori, beatificandola, facendone un’apologia in pensieri e opere.

Finalmente uno Steinbeck semiserio

 

Una vena spensierata, goliardica, sconclusionata attraversa il romanzo dalla prima all’ultima riga. Esso ci appare il divertissement di uno scrittore abituato ai grandi affreschi drammatici che, per una volta, abbia voluto intrattenersi a schizzare una gouache.

Con lo scorrere delle pagine, la distanza di quest’opera da Furore, Uomini e topi, La valle dell’Eden, che pareva enorme, si assottiglia. È sempre lo stesso Steinbeck, compassionevole biografo dei “peccatori innocenti” di Vicolo Cannery come lo era stato della famiglia Joad, o di George e Lennie. Riconosce tutti indistintamente suoi fratelli; si sente tanto più vicino a loro quanto meno sono istupiditi dal benessere materiale, incattiviti dal potere, corrotti dall’interesse. Quanto più insomma, nell’alternarsi di fugaci tregue e avversità, restano malgrado tutto umani.

Poiché nel Vicolo Cannery accadono molte avventure e qualche incidente, ma nessuna vera tragedia, ecco aprirsi, senza tempeste in vista, uno squarcio di sereno. Dove non si piange è facile che presto o tardi le labbra si aprano al sorriso. Il mago delle parole Steinbeck mette stavolta nella sua pozione un ingrediente che, nelle grandi opere tragiche sopra citate, non poteva trovare cittadinanza: la comicità.

Personaggi improbabili a cui ci si affeziona

 

Sappiamo che il Doc di Vicolo Cannery ha un modello reale: Edward F. Ricketts, dedicatario del libro, «che sa o dovrebbe sapere perché». Era un biologo conosciuto all’Università di Stanford verso cui Steinbeck nutrì per tutta la vita, più ancora che un’amicizia, una venerazione. A Doc gli sbandati che abitano il Palace Flophouse vogliono recare un tributo: una festa in suo onore. È sempre generoso e comprensivo con loro; è l’unico a trattarli da esseri umani, senza farsi ottenebrare dal pregiudizio dei benpensanti. Mack, Eddie, Hazel, Hughie, Jones sembrano personaggi ideati dall’estro di Mark Twain. Senonché sia Tom Sawyer sia Huckleberry Finn, per quanto bambini, avevano molto più sale in zucca di loro. Non gliene va mai bene una. Sono diventati adulti senza aver mai messo, per così dire, la testa a posto. «Un gruppetto d’uomini accomunati dal fatto di non avere famiglia, né denaro, né ambizioni che oltrepassassero il cibo, il bere e un minimo di appagamento».

Si sa che le buone intenzioni lastricano la via dell’inferno; la festa di Mack e compagni avrà una riuscita disastrosa per la casa di Doc, catastrofica per il loro morale, per la loro reputazione mortificata. Non demordono; il sentimento che nutrono per Doc è più forte. Una seconda festa sarà organizzata con maggior giudizio e vedrà il coinvolgimento di tutti i personaggi del Vicolo. La maîtresse Dora e le sue ragazze, Sam Malloy che novello Diogene vive in una caldaia dismessa; tutti vogliono bene a Doc, tutti hanno ricevuto da lui una cura, un consiglio, una semplice attenzione. Anche la seconda festa lascerà qualche maceria, ma ciò per Doc non ha importanza. Lui è un biologo marino. Per una vita ha avuto a che fare con interlocutori animali, vivi o trattati con formaldeide; quanto al sesso, probabilmente ha conosciuto solo quello mercenario. La bellezza antica del canto gregoriano si diffonde continuamente dal suo grammofono. Poi, un bel giorno Doc assapora finalmente «il caldo aroma della vita».

Un testo intensamente poetico

 

Vicolo Cannery: un libro di una poesia timida, eclissata, infiltrata nei cenci laceri della povertà, come è tipico di Steinbeck. La poesia ha attecchito nel fango del Vicolo quasi vi avesse trovato l’humus ideale per fiorire. Un’esperienza di lettura e di viaggio nell’anima da non perdere.

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