Cronaca 10 Gennaio 2021

Focolaio in Rsa, Usb: “Cosa vuol dire lavorare in una RSA in tempo di Covid e come è possibile la “diffusione” del virus”

Livorno 10 gennaio 2021

Il sindacato Usb Livorno interviene sul focolaio covid a Villa Serena.

“Cosa vuol dire lavorare in una RSA in tempo di Covid e come è possibile la “diffusione” del virus”

“Notizia recente è la scoperta di un nuovo “focolaio” Covid all’interno della RSA pubblica Villa Serena a Livorno.  35 positivi che si aggiungono a quelli già registrati nei mesi precedenti.

Ovviamente anche diversi operatori hanno contratto il virus come gli ospiti.

Come spesso succede, quando vengono pubblicate queste notizie; si scatenano le polemiche molto spesso alimentate da persone che non conoscono minimamente la materia e i meccanismi all’interno delle strutture.

Prima di tutto vogliamo partire dal sistema di prevenzione.

 

Più di un mese fa l’Unione Sindacale di base aveva denunciato, con un comunicato e direttamente all’assessore al sociale, la lentezza nell’effettuare i tamponi sia agli ospiti sia agli operatori.

Lentezza anche nella comunicazione dei risultati.

 

Tenete presente che anche un giorno in meno nella comunicazione della riposta può essere utile a circoscrivere l’eventuale contagio.

Anche in quest’ultimo caso sono stati effettuati i cosiddetti tamponi rapidi e non quelli molecolari con tutte le controindicazioni che conosciamo in merito all’affidabilità della diagnosi.

Ci chiediamo, anche tenendo presente i vari casi di focolai nelle RSA Italiane, come mai per ospiti e operatori non siano state messe in campo dalla ASL delle procedure ad hoc per velocizzare l’effettuazione dei tamponi.

Detto ciò vorremmo provare a spiegare cosa vuol dire lavorare in questo momento in strutture come il Pascoli e Villa Serena, veri e propri “reparti Covid” gestiti direttamente dalla ASL (che paga una quota aggiuntiva) ma che materialmente vengono gestiti da operatori sanitari assunti in appalto da una cooperativa.

La loro esperienza , serietà e competenza  non è mai stata messa in dubbio da nessuno e con questa frase vorremmo solo far presente la disparità di trattamento economico rispetto ai loro colleghi assunti direttamente dalla ASL.

Gli operatori delle RSA hanno ben presente la responsabilità che hanno in questo momento sulle spalle.

 

Basti pensare che non viene pagata alcuna reperibilità e nei momenti di emergenza  non si sono mai creati disservizi o mancanza di personale.

A costo di allungare il proprio turno di diverse ore o presentarsi a lavoro in pochi minuti.

Lavorare oggi in una RSA vuol dire indossare per  7 ore ( 10 ore di seguito per i turni notturni) pesanti  DPI assolutamente necessari ma che ovviamente rendono difficoltoso e più faticoso il lavoro che viene svolto.

Camici monouso, mascherine, guanti e visiere.

Vuol dire stare a contatto con centinaia di pazienti, molto spesso non autosufficienti, che praticamente non vedono  da mesi i propri cari

Vuol dire affrontare una situazione straordinaria mettendo tutta la determinazione e la serietà possibile affinché si possa tornare a casa senza aver contratto il virus; ( sono essere umani anche loro con tutte le legittime paure per i propri familiari)  ma soprattutto con la responsabilità di aver svolto il proprio lavoro senza mettere a rischio la vita di centinaia di persone.

E adesso arriviamo alla domanda che molti si sono posti leggendo gli articoli.

Come è possibile che si sia diffuso il virus nelle RSA?

Prima di tutto bisogna dire che i DPI non danno mai una copertura al 100%.

Bisogna dire che:

molto spesso i pazienti sono accompagnati in ospedale per visite mediche e quindi entrano in contatto necessariamente con persone esterne in luoghi sempre a rischio.

Bisogna dire che all’interno delle strutture ci sono pazienti con svariate patologie, alcune di essi  sono difficilmente “controllabili” in ogni momento.

Forse qualche attento lettore preferirebbe che venissero sedati e legati a letto per evitare qualsiasi contatto con altri pazienti evitando così il contagio da paziente a paziente.

Di fronte all’emergenza non bisogna neanche perdere l’umanità ( e neanche aggiungiamo noi i diritti del paziente sanciti dalla legge).

Se un possibile contagio è probabilmente inevitabile la prevenzione e la diagnosi precoce invece sono tempi su cui si può e si deve lavorare.

Ed è su questo che dovremmo, tutti, porre l’attenzione”

 

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